DICEMBRE 2011
Valori pressori ed ipertensione nel primo trimestre di gravidanza in donne emicraniche.[Williams MA et al. Headache. 2011 Nov-Dec;51(10):1468-82.]
La classificazione dell’emicrania cronica: attuali indicazioni e prospettive future.[Manzoni GC et al. J Headache Pain. 2011 Dec;12(6):585-92.]
NOVEMBRE 2011
La diidroergotamina e.v. nel trattamento ospedaliero delle cefalee primarie resistenti.[Nagy AJ, et al. Neurology 2011 Nov 15;77(20):1827-32. ]
New daily persistent headache: inserire le caratteristiche emicraniche tra i suoi criteri diagnostici?[Peng KP et al. Cephalalgia 2011 Nov;31(15):1561-9. ]
OTTOBRE 2011
L’infarto emicranico: uno studio nordico multicentrico.[Laurell K et al. Eur J Neurol 2011 Oct;18(10):1220-6.]
SETTEMBRE 2011
Cefelea, ciclo mestruale e contraccettivi orali di combinazione: studio su 184 donne emicraniche.[Hejazi RA, McCallum RW. Aliment Pharmacol Ther. 2011 Aug;34(3):263-73.]
AGOSTO 2011
Il vomito ciclico nell’adulto: riscoprire e ridefinire una vecchia entità.[Hejazi RA, McCallum RW. Aliment Pharmacol Ther. 2011 Aug;34(3):263-73.]
LUGLIO 2011
La fisiopatologia dell’emicrania cronica e modalita’ di azione dei farmaci di profilassi.[Mathew NT. Headache. 2011 Jul-Aug;51 Suppl 2:84-92.]
L’epidemiologia della cefalea da uso eccessivo di sintomatici nella popolazione generale svedese.[Jonsson P, Hedenrud T, Linde M. Cephalalgia. 2011 Jul;31(9):1015-22.]
GIUGNO 2011
Eletriptan nel trattamento dell’emicrania[Therapy Perspectives 2011; Anno XIV, N. 3, aprile 2011]
Ormoni sessuali ed emicrania: meccanismi di modulazione del dolore.[Gupta S et al.Headache 2011;51(6):905-922]
Meccanismi neuronali adattativi ricorrenti indotti dai farmaci, facilitazione discendente e cefalea da overuse di farmaci.[De Felice M, Ossipov MH, Porreca F. Curr Opin Neurol. 2011;24(3):193-6.]
Migralepsy, hemicrania epileptica, post-ictal headache and “ictal epileptic headache”: a proposal for terminology and classification revision.[Belcastro V et al. J Headache Pain 2011;12(3):289-94]
MAGGIO 2011
Caratteristiche cliniche e neuroradiologiche dell’infarto emicranico acuto.[Wolf ME et al. Neurology 2011; 31;76(22):1911-7.]
Attacchi ischemici transitori e pseudoTIA (“TIA MIMICS”): frequenza, caratteristiche cliniche e prognosi.[Amort M et al.Cerebrovasc Dis. 2011 May 25;32(1):57-64]
Metoclopramide come analgesico per trattare attacchi severi di emicrania: i dati di uno studio controllato in aperto e in singolo cieco.[Salazar G et al.. Recent Pat CNS Drug Discov. 2011 May 16. [Epub ahead of print]
APRILE 2011
Studio randomizzato e controllato dell’associazione orale di telcagepant e ibuprofene o acetaminofene nell’emicrania.[Hewitt DJ etal. Headache 2011; 51(4):533-43]
L’effetto a lungo termine dell’insonnia sulle cefalee primarie: uno studio di coorte prospettico sulla popolazione norvegese (HUNT-2 e HUNT -3)[Odegård SS et al. Headache 2011;51(4):570-80]
Analogie tra attacchi vertiginosi da Malattia di Meniere e vertigini ricorrenti benigne con e senza emicrania.[Brantberg K, Baloh RW. Acta Otolaryngol. 2011 Apr 6. [Epub ahead of print]
MARZO 2011
Effetti di un contraccettivo orale privo di estrogeni e contenente desogestrel in donne affette da emicrania con aura: uno studio prospettico pilota.[Nappi RE et al. Contraception. 2011 Mar;83(3):223-8. ]
Meteo ed emicrania: un’analisi prospettica.[Zebenholzer K et a. Cephalalgia. 2011 Mar;31(4):391-400.]
FEBBRAIO 2011
La zonisamide per la profilassi dell’emicrania in pazienti intolleranti al topiramato: uno studio osservazionale.[Villani V et al. Headache. 2011 Feb;51(2):287-91.]
La remissione dell’emicrania cronica in forma episodica: frequenza, fattori prognostici e conseguenze.[Manack A et al. Neurology. 2011 Feb 22;76(8):711-8.]
Punti di vista differenti sull’emicrania vestibolare: opinioni a confronto di otorinolaringoiatri e neurologi.[Millen SJ et al. Otol Neurotol. 2011 Feb;32(2):330-7.]
GENNAIO 2011
Neurofeedback guidato dal QEEG in pazienti affetti emicrania ricorrente.
Walker JE. Clin EEG Neurosci. 2011 Jan;42(1):59-61. ]
Il nemico è il nocebo, non il placebo! Una metanalisi degli effetti collaterali riportati dopo trattamento con placebo nelle cefalee.[Mitsikostas DD et al. Cephalalgia. 2011 Jan 7. [Epub ahead of print]
Studio PET della fotofobia durante attacchi spontanei di emicrania[Denuelle M et al. Neurology 2011 Jan 18;76(3):213-8]
DICEMBRE 2011
Valori pressori ed ipertensione nel primo trimestre di gravidanza in donne emicraniche.
[Williams MA et al. Headache. 2011 Nov-Dec;51(10):1468-82.]
Questi autori americani hanno osservato l’influenza che la diagnosi clinica di emicrania può avere sui valori di pressione arteriosa ed i rischi di disturbi ipertensivi in gravidanza in un gruppo di 3373 donne sane gravide osservate prospetticamente. La relazione tra emicrania e pressione arteriosa è controversa con risultati differenti che suggeriscono sia associazioni positive sia negative. In base alle attuali conoscenze, nessuno studio ha indagato i profili pressori tra le pazienti emicraniche in gravidanza. Questi autori americani hanno raccolto i dati di questa numerosa popolazione di donne emicraniche in gravidanza afferenti a cliniche prenatali dello Stato di Washington deducendo dalle cartelle cliniche i valori di pressione arteriosa relativi al primo trimestre di gravidanza e le modalità del parto. Le differenze di pressione arteriosa media per le donne gravide emicraniche e non emicraniche sono state stimate in modelli di regressione, usando equazioni di stima generalizzate. E’ stato calcolato l’odd ratio e l’intervallo di confidenza al 95% per l’ipertensione gestazionale e la pre-eclampsia in relazione allo stato emicranico. E’ emerso che la pressione arteriosa sistolica media (SBP) nel primo, secondo e terzo trimestre di gravidanza era elevata tra le gravide emicraniche rispetto a quelle non emicraniche. Le emicraniche hanno una media di SBP più alta nel terzo trimestre (4.08 mmHg) rispetto alle non emicraniche. I valori di pressione arteriosa diastolica specifica per trimestre (DBP) erano relativamente variabili in relazione allo stato emicranico. Negli emicranici, inoltre, rispetto ai non emicranici, la DBP media nel primo (0.82 mmHg) e nel terzo trimestre (2.39 mmHg) era più elevata mentre i valori del secondo trimestre erano più bassi. Le donne emicraniche hanno un rischio di pre-eclampsia pari a 1.53 rispetto alle non emicraniche e quelle in sovrappeso o obese hanno un rischio aumentato di 6,10 volte superiore alle non emicraniche di pari peso. Gli autori concludono che le donne gravide emicraniche hanno elevati valori pressori, in particolare i valori sistolici misurati nel terzo trimestre ed un più alto rischio di pre-eclampsia rispetto a donne gravide non emicraniche. Le associazioni osservate aumentano in gravide emicraniche in sovrappeso o obese suggerendo prospettive non favorevoli sull’evoluzione della gravidanza in queste donne.
La classificazione dell’emicrania cronica: attuali indicazioni e prospettive future.
[Manzoni GC et al. J Headache Pain. 2011 Dec;12(6):585-92.]
I criteri diagnostici per NDPH dell’International Classification of Headache Disorders (ICHD-2) ricalcano aspetti clinici della cefalea di tipo tensivo. Tuttavia, non per tutti i pazienti che riferiscono una “cefalea di recente esordio persistente” tali criteri soddisfano la diagnosi, in particolare per coloro i cui attacchi presentano anche caratteristiche emicraniche. Gli autori hanno esaminato tutti i pazienti con NDPH afferenti al loro centro cefalee utilizzando la definizione di cefalea come quella che persisteva da meno di 3 giorni dall’esordio e perdurava per almeno 3 mesi. I pazienti sono stati suddivisi in due grandi gruppi: pazienti che rispettavano i criteri ICHD-II (NDPH-S) e pazienti che non li rispettavano a causa della prevalenza degli aspetti emicranici del dolore da loro riferito (NDPH-M). Tutti i pazienti hanno completato un questionario strutturato contenente aspetti demografici e caratteristiche della cefalea; sono stati sottoposti a interviste semistrutturate quali la Beck Depression Inventory (BDI), l’SF-36 ed il MIDAS. Un intervista telefonica è stata condotta per il follow-up. Sono stati analizzati in totale 92 pazienti con NDPH, di cui 59(64.1%) rientranti nel gruppo M e 33 (35.9%) nel gruppo S. Tra i due sottogruppi, le caratteristiche socio-demografiche erano indistinguibili, ma i pazienti con maggiori caratteristiche emicraniche presentavano una maggiore severità del dolore, punteggi più elevati alla BDI e al MIDAS e più bassi al SF-36. In media dopo 2 anni di follow up, il 66% aveva una buona prognosi con riduzione della frequenza di cefalea superiore al 50%. L’analisi di Cox ha mostrato che una durata di malattia inferiore ai 6 mesi e la presenza di caratteristiche prevalentemente tensive sono buoni indici prognostici. Gli aspetti emicranici in una NDPH, di comune riscontro, possono essere associati ad una prognosi peggiore rispetto alla stessa forma con caratteristiche preminenti tensive, rappresentando probabilmente due forme della stessa malattia a prognosi differente.
NOVEMBRE 2011
La diidroergotamina e.v. nel trattamento ospedaliero delle cefalee primarie resistenti.
[Nagy AJ, et al. Neurology 2011 Nov 15;77(20):1827-32. ]
Il lavoro rispolvera meriti terapeutici di un vecchio farmaco, la diidroergotamina (DHE) quando somministrata in ospedale per via parenterale in pazienti con una cefalea primaria ribelle a qualsiasi altro trattamento. Gli autori hanno analizzato le risposte dei pazienti sottoposti a tale trattamento cercando di focalizzare quali fossero le principali problematiche correlate al suo uso. Sono stati intervistati 163 pazienti di cui 114 affetti da emicrania cronica, 38 da cefalea a grappolo e 11 da NDPH. La durata media del tempo di osservazione è stata di 11 mesi. I dati raccolti suggeriscono che la diidroergitamina e.v., somministrata per oltre 5 giorni, determina un netto miglioramento della cefalea e della disabilità nei pazienti con emicrania rispetto a periodi di trattamento di minore durata. Sembrerebbe esserci un effetto cumulativo, inoltre, dopo la dimissione della durata di almeno 1 mese. Il prolungamento della durata di terapia con diidroergotamina predice un maggior tasso di libertà dal dolore. Anche i pazienti con cefalea a grappolo possono beneficiare della somministrazione parenterale della DHE, mentre tra i pazienti con NDPH, solo quelli con sintomi emicranici rispondevano al farmaco e tra questi ultimi la risposta era meno consistente rispetto a quella osservata negli emicranici. Gli autori concludono che la DHE somministrata per via parenterale è ben tollerata e che un trattamento prolungato si associa ad una prognosi migliore. La nasuea rappresenta il più comune effetto collaterale ed il suo controllo è associato ad una miglior esito della terapia.
New daily persistent headache: inserire le caratteristiche emicraniche tra i suoi criteri diagnostici?
[Peng KP et al. Cephalalgia 2011 Nov;31(15):1561-9. ]
I criteri diagnostici per NDPH dell’International Classification of Headache Disorders (ICHD-2) ricalcano aspetti clinici della cefalea di tipo tensivo. Tuttavia, non per tutti i pazienti che riferiscono una “cefalea di recente esordio persistente” tali criteri soddisfano la diagnosi, in particolare per coloro i cui attacchi presentano anche caratteristiche emicraniche. Gli autori hanno esaminato tutti i pazienti con NDPH afferenti al loro centro cefalee utilizzando la definizione di cefalea come quella che persisteva da meno di 3 giorni dall’esordio e perdurava per almeno 3 mesi. I pazienti sono stati suddivisi in due grandi gruppi: pazienti che rispettavano i criteri ICHD-II (NDPH-S) e pazienti che non li rispettavano a causa della prevalenza degli aspetti emicranici del dolore da loro riferito (NDPH-M). Tutti i pazienti hanno completato un questionario strutturato contenente aspetti demografici e caratteristiche della cefalea; sono stati sottoposti a interviste semistrutturate quali la Beck Depression Inventory (BDI), l’SF-36 ed il MIDAS. Un intervista telefonica è stata condotta per il follow-up. Sono stati analizzati in totale 92 pazienti con NDPH, di cui 59(64.1%) rientranti nel gruppo M e 33 (35.9%) nel gruppo S. Tra i due sottogruppi, le caratteristiche socio-demografiche erano indistinguibili, ma i pazienti con maggiori caratteristiche emicraniche presentavano una maggiore severità del dolore, punteggi più elevati alla BDI e al MIDAS e più bassi al SF-36. In media dopo 2 anni di follow up, il 66% aveva una buona prognosi con riduzione della frequenza di cefalea superiore al 50%. L’analisi di Cox ha mostrato che una durata di malattia inferiore ai 6 mesi e la presenza di caratteristiche prevalentemente tensive sono buoni indici prognostici. Gli aspetti emicranici in una NDPH, di comune riscontro, possono essere associati ad una prognosi peggiore rispetto alla stessa forma con caratteristiche preminenti tensive, rappresentando probabilmente due forme della stessa malattia a prognosi differente.
OTTOBRE 2011
L’infarto emicranico: uno studio nordico multicentrico.
[Laurell K et al. Eur J Neurol 2011 Oct;18(10):1220-6.]
L’infarto emicranico (MI), ossia un ictus ischemico che si sviluppa durante un attacco di emicrania con aura, è un evento raro e la conoscenza delle sue caratteristiche cliniche è piuttosto limitata. In alcune casistiche precedenti, in cui sono stati applicati i criteri diagnostici ICHD-II, i casi raccolti sono meno di 10 che rendono poco attendibili le conclusioni a cui si può giungere in merito. Tale studio svedese multicentrico ha cercato di descrivere le caratteristiche cliniche e possibilmente anche la prognosi dell’infarto emicranico in una casistica più ampia. Il campione raccolto comprende 33 pazienti con MI secondo i criteri diagnostici IHCD-II provenienti da 7 differenti centri cefalee Nordici. Sono stati analizzati i dati demografici dei pazienti, i fattori di rischio, i farmaci assunti per trattare lemicrania, la sede dell’ictus, i sintomi e la prognosi. Circa il 61% dei casi (n=20) erano donne e il 39% uomini (n=13) con un’età media per esordio dell’ictus pari a 39 anni (range:19-76). I fattori tradizionali per ictus erano piuttosto rari se confrontati con i dati della popolazione svedese generale di pari età. In fase acuta, il 36% dei pazienti (n=12) aveva assunto ergotaminici o triptani. L’ictus si localizzava nell’82% dei casi nel terriorio del circolo posteriore ed il cervelletto era coinvolto nel 21% dei casi. Tranne che in due pazienti con infarto del tronco dell’encefalo, la prognosi è stata molto favorevole, con totale recupero o esiti neurologici minimi. Gli autori concludono che la prevalenza dei tradizionali fattori di rischio vascolari in tali pazienti è bassa e che gli infarti cerebrali sono prevalentemente localizzati in territori del circolo posteriore supportando l’ipotesi che l’emicrania abbia specifici meccanismi fisiopatogenetici. La prognosi dell’MI è in genere favorevole.
SETTEMBRE 2011
Cefelea, ciclo mestruale e contraccettivi orali di combinazione: studio su 184 donne emicraniche.
[Lieba-Samal D et al.Eur J Pain. 2011 Sep;15(8):852-7.]
Circa il 50% delle donne in età riproduttiva utilizza contraccettivi orali di combinazione (COCs) ma la correlazione che essi hanno con l’emicrania perimestruale non è ancora del tutto chiarita. Questi autori viennesi hanno valutato il rischio di comparsa e permanenza ( ad esempio la presenza per più di 1 giorno) di cefalea ed emicrania prima e durante il ciclo mestruale in donne emicraniche che assumevano COCs rispetto a donne che non ne assumevano. Sono state così reclutate ben 184 donne con almeno 1 giorno di ciclo mestruale; sono stati registrati in un diario di 90 giorni tutti gli attacchi verificatisi. Sono stati differenziati 3 gruppi: gruppo a-almeno 2 giorni prima delle mestruazioni; gruppo b-i primi 3 giorni di mestruazioni e gruppo c- i restanti giorni di mestruazioni; ogni gruppo è stato inoltre suddiviso ulteriormente in base all’assunzione o meno di COCs (n=82 donne con COCs e n=102 senza COCs). In entrambi i gruppi, il rischio di comparsa di ogni forma di cefalea così come quello di emicrania era più elevato durante i primi 3 giorni del ciclo mestruale con un hazard ratio pari a 1.9 e 2.1 per le donne che non assumevano COCs e pari a 2.1 e 2.2 per le donne che assumevano COCs. Sebbene l’uso di COCs non ha mostrato alcun effetto statisticamente significativo, le donne che li assumevano avevano un più alto rischio di comparsa di cefalea premestruale, mentre le donne che non assumevano COCs avevano un rischio più elevato di emicrania a partire dal 4° giorno in poi del ciclo mestruale. Gli autori concludono quindi che l’uso di COCs esercita solo un modesto effetto sul corso dell’emicrania perimetrale in donne emicraniche in età riproduttiva.
AGOSTO 2011
Il vomito ciclico nell’adulto: riscoprire e ridefinire una vecchia entità.
[Hejazi RA, McCallum RW. Aliment Pharmacol Ther. 2011 Aug;34(3):263-73.]
Il lavoro di questi autori appare interessante perché sfata un’assioma di equivalenza tra il vomito ciclico e l’età pediatrica. Il vomito ciclico è una sindrome caratterizzata da episodi ricorrenti di nausea severa e di vomito separati da periodi di assoluta e totale remissione dei sintomi. Attraverso questa attenta e dettagliata revisione della letteratura mediante metanalisi condotta in PubMed con alcune delle più significative parole chiave (cyclic vomiting syndrome; nausea; vomiting; pathophysiology; diagnosis; treatment; trigger factors; gastric emptying test; autonomic nerve function test; gastrointestinal hormones; outcome and natural history), gli autori hanno ricostruito la storia, l’epidemiologia, gli aspetti clinici, la fisiopatologia, diagnosi e terapia del vomito ciclico nell’adulto. I dati così raccolti hanno, infatti, dimostrato che il vomito ciclico nell’adulto è caratterizzato da dolore epigastrico severo e talora dolore addominale diffuso con cicli di nausea e vomito intervallati da periodi di totale remissione della sintomatologia sopradescritta. Circa il 60% dei pazienti ha uno svuotamento gastrico rapido. L’ansia e la depressione appaiono disturbi di frequente riscontro in tali pazienti con una buona e duratura risposta agli antidepressivi triciclici ad alte dosi. In oltre il 15% dei pazienti con scarsa risposta agli antidepressivi triciclici, è possibile riscontrare comorbidità psichiatrica, uso di marijuana, crisi di emicrania refrattarie ai sintomatici e uso cronico di narcotici. Gli autori concludono che tale sindrome è riconoscibile anche nel soggetto in età adulta, invitando gli internisti, i gastroenterologi e i medici del P.S. a tenere in considerazione tale opzione diagnostica di fronte ad un paziente con dolore addominale di n.d.d.
LUGLIO 2011
La fisiopatologia dell’emicrania cronica e modalita’ di azione dei farmaci di profilassi.
[Mathew NT. Headache. 2011 Jul-Aug;51 Suppl 2:84-92.]
Da alcuni anni, ormai, siamo a conoscenza di possibili alterazioni strutturali cerebrali correlate all’emicrania cronica (CM), accanto alle già dimostrate alterazioni elettrofisiologiche e biochimiche e al riscontro di alcune anomale risposte a farmaci oppiacei e analgesici.
Le principali alterazioni cerebrali strutturali o morfologiche riportate includono una riduzione della sostanza grigia corticale nelle aree deputate alla percezione del dolore e la presenza di depositi di ferro nella sostanza grigia periacqueduttale (PAG). nel nucleo rosso e nei gangli della base. Tali modificazioni correlano con la durata della malattia emicrania e per tale motivo sono di più frequente riscontro nella CM rispetto all’emicrania episodica (EM). L’alterata modulazione del sistema trigeminale nocicettivo derivante dalle modificazioni strutturali a carico del PAG può rappresentare un importante fattore fisiopatogenetico della CM. Nonostante non sia ancora stato chiarito il ruolo fisiopatologico e strutturale delle lesioni della sostanza bianca sottocorticale di frequente riscontro negli emicranici cronici e delle lesioni simil ischemiche cerebellari, il loro riscontro in tali pazienti conferma la possibilità che l’emicrania cronica sia associata ad alterazioni cerebrali strutturali. Dal punto di vista funzionale, nella CM si ritrovano alterazioni del metabolismo cerebrale e dell’eccitabilità corticale e il fenomeno della sensitizzazione centrale. La CM si associa ad alterazioni del metabolismo cerebrale confermate dalla PET. Di particolare interesse, è la riduzione del metabolismo di tipo reversibile che si osserva in alcune regioni cerebrali quali l’insula, il talamo, il giro del cingolo anteriore e il lobo parietale oppure la riduzione di metabolismo perdurante nella corteccia orbitofrontale osservata in pazienti con cefalea da uso eccesivo di farmaci. L’eccitabilità corticale è aumentata nei pazienti con CM rispetto a quelli con EM, come conferrmato da studi di stimolazione magnetica transuranica. La presenza di allodinia cutanea, più frequente nei pazienti con CM, può essere considerato un marker di sensitizzazione centrale, fenomeno generato da radicali liberi che danneggiano il PAG. L’allodinia cutanea correla con la frequenza degli attacchi di emicrania e con la durata della malattia. I neuroni nocicettivi cronicamente sensitizzati possono essere responsabili di dolore cronico e della refrattarietà alla terapia della CM. Alterazioni nella neurotrasmissione centrale glutammatergica sono state riportate nel giro anteriore del cingolo e nell’insula mediante RM in spettroscopia. I farmaci antiglutammatergici possono infatti essere utili nella CM. L’uso frequente di oppiacei e di analgesici nell’emicrania episodica può portare alla sua cronicizzazione e trasformazione in CM. L’iperalgesia indotta dagli oppiacei, recentemente riconosciuta, può essere responsabile della marcata refrattarietà alla terapia dell’emicrania cronica. Se si cerca di migliorare la comprensione dei meccanismi fiso patogenetici della CM, certamente si riuscirà a trattare meglio questi pazienti. I diversi farmaci di profilassi comunemente usati, tra cui il topiramato, il valproato, i beta-bloccanti e gli antidepressivi triciclici, sembrano tutti agire riducendo l’eccitabilità della corteccia cerebrale (cortical spreding depression) in questi pazienti, a seconda della durata del trattamento e della dose di farmaco usata. L’efficacia della tossina botulinica nella CM potrebbe essere giustificata dal suo effetto antinocicettivo. Modificazioni nel metabolismo glutammatergico e a carico del CGRP a livello delle terminazioni nervose periferiche riduce la sensitizzazione periferica con possibile secondaria riduzione dell’analogo fenomeno a livello centrale.
L’epidemiologia della cefalea da uso eccessivo di sintomatici nella popolazione generale svedese.
[Jonsson P, Hedenrud T, Linde M. Cephalalgia. 2011 Jul;31(9):1015-22.]
Questo studio svedese di popolazione appare interessante soprattutto per l’ampia casistica valutata al fine di determinare la prevalenza della “medication overuse headache” (MOH) in Svezia in sottogruppi di popolazione differenti. Sono stati selezionati per randomizzazione 44300 soggetti (di cui il 55% donne), di età superiore ai 15 anni, e sottoposti ad un’intervista telefonica mediante un questionario standardizzato le cui domande erano relative alla MOH secondo i criteri diagnostici ICHD-II e alla definizione di fattori sociodemografici, storia di cefalea ed uso di farmaci del soggetto intervistato. La prevalenza di cefalea cronica quotidiana in Svezia è del 3.2% e di questi soggetti il 56% presenta MO., la cui prevalenza è stata stimata pari al 1.8%. L’età media di esordio era più alta tra gli uomini e tra coloro che avevano una cefalea di tipo tensivo come forma primaria rispetto agli emicranici. L’analisi multivariata degli items valutati nell’intervista telefonica ha mostrato che i fattori socioeconomici quali un basso grado di scolarità e un basso reddito pro capite si associavano più frequentemente ad MOH. Gli autori concludono che in questo primo studio svedese di popolazione l’MOH appare essere anche un problema sociale, di salute pubblica, così come accade già in altre parti del mondo.
GIUGNO 2011
Eletriptan nel trattamento dell’emicrania
[Therapy Perspectives 2011; Anno XIV, N. 3, aprile 2011]
Le cefalee sono uno dei problemi che più spesso il medico deve affrontare. Il termine “ cefalea” ha aspetti clinici proteiformi ai quali corrispondono diversi indirizzi di cura. Tutti abbiamo avuto esperienze di cefalea, ma è difficile quantizzare tale sintomatologia che si inserisce nel grande capitolo del dolore. Qualsiasi stato doloroso deve essere valutato sotto l’aspetto della qualità del dolore, dell’intensità, della localizzazione, della frequenza e del decorso nel tempo. Inoltre bisogna considerare se vi sono condizioni favorenti a scatenare il dolore oppure situazioni che di per sé lo migliorano.
Quando la cefalea viene valutata in base a questi parametri si ottengono un certo numero di informazioni che dovranno essere correlate con un esame clinico e neurologico normale. Circa la qualità del dolore cefalico la descrizione del paziente può non essere di aiuto, infatti spesso il termine cefalea è usato per indicare un dolore continuo, non chiaramente localizzato come nel caso di malattie di strutture profonde; altre volte il paziente descrive semplicemente un dolore puntorio localizzato al capo.
Un altro dato importante da ricercare è se la cefalea è pulsante, indicando così una componente vascolare. Affermazioni circa l’intensità del dolore devono essere valutate con attenzione perché riflettono il carattere del paziente nel descrivere i sintomi piuttosto che la reale severità del sintomo stesso: di solito la personalità normale tenderà a minimizzare il disturbo, la personalità nevrotica sarà portata a drammatizzarlo.
Il grado di incapacità a svolgere la normale attività lavorativa è anche un indice utile. Nell’anamnesi vanno ricercati i dati riguardanti la localizzazione della cefalea, le caratteristiche e la durata del dolore, i sintomi che lo accompagnano e che sono prevalentemente di tipo autonomico. Nella storia clinica di un paziente che soffre di emicrania con aura, per esempio, è eccezionale che gli episodi si verifichino con una frequenza superiore a un singolo attacco ogni mese; invece l’insorgenza notturna di un dolore strettamente unilaterale temporo-orbitario, dopo 2-3 ore dall’inizio del sonno per un periodo che va da alcune settimane a mesi, è tipico della cefalea a grappolo. La cefalea di tipo tensivo, invece, può durare con varie intensità per settimane, mesi o persino anni ed essere presente quotidianamente.
La cefalea può manifestarsi regolarmente nel periodo premestruale associata a una certa ritenzione idrica; di solito è un dolore diffuso, ma vi possono essere veri e propri attacchi emicranici. Lo stress e le preoccupazioni possono scatenare un’emicrania senza aura nei pazienti predisposti; altri pazienti hanno crisi emicraniche alla fine della settimana, dopo un periodo di intensa attività (emicrania del week-end). […] Prof. Gennaro Bussone
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Ormoni sessuali ed emicrania: meccanismi di modulazione del dolore.
[Gupta S et al.Headache 2011;51(6):905-922]
Alcune tra le più comuni patologie dolorose, sia acute che croniche, sono più frequenti nelle donne, tra cui la sindrome temporo-mandibolare (TMD), la sindrome del colon irritabile, la fibromialgia e l’emicrania. L’associazione tra ormoni steroidei sessuali femminili e tali condizioni dolorose è ben conosciuta, ma i meccanismi dei loro effetti sul dolore sono ancora da decifrare. In questa review sono stati analizzati i possibili meccanismi con cui gli ormoni sessuali steroidei femminili possono influenzare il pattern nocicettivo trigeminale con particolare attenzione all’emicrania. I recettori steroidei per gli ormoni sessuali sono localizzati nei circuiti trigeminali fornendo un substrato molecolare per i loro effetti diretti. In aggiunta ai classici effetti genomici, gli ormoni steroidei sessuali esercitano anche azioni non genomiche rapide per modulare i segnali nocicettivi. Sebbene solo pochi studi hanno studiato direttamente gli effetti degli ormoni sessuali nei modelli animali di emicrania, i meccanismi ipotizzati possono essere estrapolati dalle osservazioni sui modelli animali di altri disturbi dolorosi trigeminali differenti dall’emicrania come la TMD. Gli ormoni sessuali possono regolare la sensitizzazione dei neuroni trigeminali attraverso la modulazione dell’espressione di mediatori nocicettivi come il CGRP. La sua espressione è regolata in senso positivo dagli estrogeni, sebbene solo pochi studi hanno riportato l’esistenza anche di relazioni inverse. La serotonina è uno dei principali mediatori coinvolti nella patogenesi dell’emicrania; la sua sintesi è incrementata dagli estrogeni in diverse aree cerebrali con aumento dell’espressione dell’enzima triptofano- idrossilasi e riduzione dell’espressione del trasportatore per il re-uptake della serotonina. Si ritiene che i principali eventi regolati dagli ormoni sessuali siano la modulazione discendente del segnale nocicettivo attraverso l’attivazione extracellulare di kinasi, alcuni possibili meccanismi calcio-dipendenti e un’attivazione della risposta mediata da AMP ciclico. Questi indici necessitano di ulteriori conferme in modelli animali specifici per emicrania che possono meglio delucidare come l’attivazione di altri canali ionici, il coinvolgimento di altri neuropeptidi e la cascata degli eventi che regolano i segnali intracellulari contribuiscano ad aumentare la prevalenza dell’emicrania nelle donne.
Meccanismi neuronali adattativi ricorrenti indotti dai farmaci, facilitazione discendente e cefalea da overuse di farmaci.
[De Felice M, Ossipov MH, Porreca F. Curr Opin Neurol. 2011;24(3):193-6.]
Attualmente il principale limite all’indagine dei meccanismi che sostengono il dolore della cefalea è l’impossibilità di avere a disposizione modelli preclinici di misurazione e valutazione del dolore cefalico stesso. In alcuni pazienti le crisi di emicrania sono associati allo sviluppo di allodinia cutanea la cui presenza suggerisce una stato di “sensitizzazione centrale” della trasmissione del dolore e può riflettere in aggiunta il coinvolgimento del sistema facilitatorio discendente da parte dei circuiti di modulazione del dolore. Per questo motivo, l’allodinia cutanea è stata considerata nei modelli animali come marker di cefalea. L’uso eccessivo di farmaci antiemicranici può favorire un incremento della frequenza e dell’intensità della cefalea, una sindrome nota con il termine di “medication overuse headache” (MOH). I meccanismi che sottendono la MOH non sono ancora noti ma tra questi potrebbe essere coinvolto il processo di amplificazione del dolore che comprende la sensitizzazione centrale e la facilitazione discendente. Questa interessante review esplora le possibili implicazioni che emergono da tali studi e che potrebbero contribuire alla genesi della MOH. Lo sviluppo di MOH è stato recentemente associato a modificazioni adattative a lungo termine che si verificano nel sistema nervoso centrale e periferico. Studi preclinici hanno mostrato come ripetuti o continui trattamenti con farmaci antiemicranici determinano una persistente up- regulation dei neurotrasmettitori nella branca oro-facciale del ganglio trigeminale e nel conseguente sviluppo di allodinia cutanea in risposta a fattori scatenanti l’emicrania, anche per settimane dopo la sospensione del farmaco antiemicranico. Inoltre, la facilitazione discendente è un fattore critico per l’espressione dell’allodinia cutanea e può mascherare l’espressione del controllo inibitorio diffusamente alterato. Adattamenti pronocicettivi ripetuti indotti dal farmaco potrebbero abbassare la soglia del dolore e amplificare la risposta ai fattori scatenanti l’emicrania portando ad un’aumentata frequenza di attacchi emicranici.
Migralepsy, hemicrania epileptica, post-ictal headache and “ictal epileptic headache”: a proposal for terminology and classification revision.
[Belcastro V et al. J Headache Pain 2011;12(3):289-94]
Nonostante l’emicrania e l’epilessia siano tra le più comuni affezioni del sistema nervoso e la loro comorbidità è ben conosciuta ormai da tempo, sono pochi i reports che chiariscono e definiscono entità come “migralepsy” e “l”hemicrania epileptica” così come descritte dalla attuale classificazione delle cefalee ICHD-II (2004). In particolare, tale classificazione descrive “le crisi epilettiche scatenate dall’emicrania (i.e. migralepsy) tra le complicanze dell’emicrania al punto 1.5.5. (come un evento raro in cui una crisi epilettica si verifica durante un’aura emicranica) e “l’hemicrania epileptica” (codificata al punto 7.6.1) e la cefalea post-critica (codificata al punto 7.6.2) tra le cefalee da attribuire a crisi epilettiche. Tuttavia, ad oggi né l’International Headache Society nè la Lega Internazionale contro l’Epilessia indicano che la cefalea/emicrania possa essere l’unica manifestazione critica di origine epilettica. Basandosi sulle conoscenze attuali, la migralepsy appare un’entità con bassa probabilità di esistenza, almeno così come viene descritta. Gli autori, quindi, propongono opportunamente di eliminare tale termine dalla classificazione al fine di non generare ulteriore confusione e fino a quando la sua esistenza non sia definitivamente accertata. Viene, inoltre, proposta una revisione della terminologia da usare e dei criteri classificativi per meglio definire le relazioni tra cefalea/emicrania ed epilessia, suggerendo che il termine “cefalea epilettica ictale” venga relegato solo a quei casi in cui la cefalea/emicrania sia l’unica manifestazione epilettica riconoscibile.
MAGGIO 2011
Caratteristiche cliniche e neuroradiologiche dell’infarto emicranico acuto.
[Wolf ME et al. Neurology 2011; 31;76(22):1911-7.]
I risultati di questo nuovo studio tedesco sull’infarto emicranico, rara complicanza dell’emicrania di cui si conosce ancora molto poco, giungono a sostegno di dati già noti in letteratura. In particolare, pur essendo stata confermata la presenza di lesioni cerebrali individuabili morfologicamente e clinicamente silenti nei pazienti affetti da emicrania con aura, non si conosce ancora il tipo di pattern lesionale presente nelle ischemie cerebrali acute associate ad emicrania. Questi autori tedeschi hanno selezionato 71 pazienti con infarto emicranico tra un campione di 8137 pazienti con ictus lungo un arco temporale di ben 11anni. Tutti i pazienti selezionati erano stati sottoposti ad un protocollo d’indagini definito che comprendeva una RM encefalo in diffusione e una valutazione dettagliata delle caratteristiche cliniche e dei fattori di rischio vascolari. La maggior parte dei pazienti aveva riferito segni e sintomi di un’aura prolungata (sintomi visivi nel 82.3% dei casi, disturbi sensitivi nel 41.2% e afasia nel 5.9% dei casi, con un punteggio alla scala NIH per ictus pari a 2).Tutti i pazienti erano giunti al PS con notevole ritardo rispetto all’esordio dei sintomi, un ritardo stimato in media di circa 33 ore. Il 70.6% dei pazienti presentava lesioni nel territorio del circolo posteriore e il 29.4% nel territorio dell’arteria cerebrale media. Nel 65% circa dei casi si trattava di lesioni di piccole dimensioni, multiple in oltre il 40% dei casi. Non sono state riscontrate lesioni ischemiche sovrapposte in territori vascolari differenti. E’ riportata, inoltre, un’elevata prevalenza di PFO (64.7% dei pazienti).Gli autori, in base a tali evidenze, confermano dati già noti ossia la maggiore frequenza d’infarto emicranico in donne giovani affette da emicrania con aura e la presenza nei soggetti con infarto emicranico di lesioni prevalentemente nel territorio del circolo posteriore. Le lesioni ischemiche acute sono spesso multiple e localizzate in territori arteriosi ben distinti. Dal momento che non è stata riscontrata una sovrapposizione di lesioni ischemiche in territori differenti, appare improbabile che la causa dell’infarto possa essere una disfunzione emodinamica dovuta all’attacco emicranico. Appare così fondamentale, ma spesso ostico, poter distinguere un infarto emicranico da un’aura prolungata, soprattutto a causa del notevole ritardo dall’esordio dei sintomi con cui i pazienti giungono in ospedale per l’osservazione.
Attacchi ischemici transitori e pseudoTIA (“TIA MIMICS”): frequenza, caratteristiche cliniche e prognosi.
[Amort M et al.Cerebrovasc Dis. 2011 May 25;32(1):57-64]
Vi sono ancora poche evidenze valide per distinguere dal punto di vista clinico attacchi ischemici transitori (TIA) da condizioni che possono mimarli (TIA mimics). Questi autori svizzeri hanno confrontato la frequenza, le caratteristiche cliniche e la prognosi di pazienti con TIA e pazienti con TIA mimics in uno studio prospettico condotto in una Stroke Unit per oltre 2 anni. Su 3030 pazienti, 248 (81.8%) sono risultati affetti da TIA e 55 (18.2%) da condizioni patologiche che possono mimare un TIA. Tra queste le crisi epilettiche e gli attacchi emicranici sono risultate le condizioni più frequenti, rispettivamente nel 43.7% e nel 23.6% dei casi. Tra i pazienti che accedevano con paresi monolaterale, vi era una minore probabilità che fossero affetti da “TIA mimics” rispetto a pazienti senza paresi. La perdita di memoria, la cefalea e i disturbi della vista aumentavano, invece, la probabilità che si trattasse di un TIA mimics. Considerando questi ultimi 3 aspetti clinici, altri segni come l’afasia, la disartria, la perdita di sensibilità, i valori pressori e la stessa durata dei sintomi non aiutavano nel chiarire meglio la causa dei sintomi e dei segni presentati dal paziente. Dopo 3 mesi, stroke, TIA ricorrenti e infarto del miocardio erano assenti in pazienti con TIA mimics ma si verificavano nei pazienti con TIA rispettivamente nel 5.2% (n=13), 8.1% (n=20) e 1.2% (n=3) dei casi. Gli autori concludono che almeno 1 paziente su 5 con un sospetto TIA può avere unTIA mimics. La presenza di un disturbo motorio appare fortemente suggestiva di un TIA mentre altre variabili cliniche non aiutano a dirimere tra un TIA ed un TIA mimics. In quest’ultimo caso la prognosi dei pazienti a breve termine è sicuramente migliore.
Metoclopramide come analgesico per trattare attacchi severi di emicrania: i dati di uno studio controllato in aperto e in singolo cieco.
[Salazar G et al.. Recent Pat CNS Drug Discov. 2011 May 16. [Epub ahead of print]
La metoclopramide è un antiemetico ben conosciuto e molto usato nella pratica clinica con effetti farmacologici centrali e periferici. Alcuni autori hanno riportato che la metoclopramide può essere utilizzata come terapia adiuvante per trattare in acuto l’attacco emicranico. Il trattamento dell’emicrania mediante l’uso di un’associazione di metoclopramide e FANS è stato autorizzato (European Patent EP1014961) in Europa ed esistono dati su gruppi di pazienti emicranici trattati che mostrano una buona efficacia e tollerabilità della metoclopramide. Autori spagnoli hanno condotto uno studio in aperto, in singolo cieco, controllato nel dipartimento di emergenza per valutare efficacia e tollerabilità della metoclopramide in pazienti con attacchi severi di emicrania. 93 pazienti afferiti consecutivamente in Emergenza sono stati randomizzati in due gruppi (gruppo A e B). I pazienti del gruppo A hanno ricevuto 10 mg di metoclopramide e.v. ed i pazienti del gruppo B 1 gr di paracetamolo e.v. I pazienti sono stati valutati 5 minuti prima della somministrazione (baseline) e poi a 15, 30, 60 e 120 minuti dopo la somministrazione del farmaco e infine prima di essere dimessi dal dipartimento di emergenza. Dopo 48 ore dalla dimissione sono stati contattati telefonicamente e sottoposti ad un’intervista telefonica. I pazienti trattati con metoclopramide o paracetamolo mostravano una riduzione significativa dell’intensità del dolore dopo 120 minuti, con il 86% e 82% di miglioramento rispettivamente. Tuttavia, i pazienti trattati con metoclopramide mostravano un miglioramento più rapido dopo 15 e 30 minuti dalla somministrazione. I pazienti con emicrania severa trattati con metoclopramide in monoterapia presentavano un miglioramento significativo in termini di risoluzione del dolore ed un più rapido miglioramento in termini di intensità del dolore se confrontati con i pazienti trattati con paracetamolo. La metoclopramdide ed altri antagonisti dopaminergici potrebbero essere considerati un’opzione terapeutica valida nel trattamento in acuto degli attacchi severi di emicrania.
APRILE 2011
Studio randomizzato e controllato dell’associazione orale di telcagepant e ibuprofene o acetaminofene nell’emicrania.
[Hewitt DJ etal. Headache 2011; 51(4):533-43]
Telcagepant è un antagonista orale recettoriale del CGRP testato nel trattamento acuto dell’emicrania. La sua efficacia, ormai dimostrata, è stata rivalutata in questo studio dopo associazione orale con ibuprofene o acetaminofene, due farmaci con un diverso meccanismo d’azione e con possibilità d’azione sinergica. A tal fine è stato allestito uno studio randomizzato, in doppio cieco, controllato versus placebo che ha coinvolto quattro gruppi di pazienti affetti da emicrania d’intensità da moderata a severa: 1° gruppo con 171 pazienti che hanno assunto 280 mg di telcagepant e 400 mg d’ibuprofene; 2° gruppo di pari numerosità ha assunto 280 mg di telcagepant e 1000 mg d’acetaminofene; 3° gruppo con 170 pazienti che hanno assunto 280 mg di telcagepant e 4° gruppo (n=171) che ha assunto placebo. L’obiettivo primario per testare l’efficacia è stata la completa risoluzione del dolore dopo 2 ore dall’assunzione del farmaco. La sicurezza e la tollerabilità dei farmaci sono state testate mediante indagini di laboratorio e mediante la valutazione degli effetti collaterali. La percentuale di pazienti libera completamente dal dolore entro 2 ore dall’assunzione del farmaco è stata più alta rispetto al placebo in ogni gruppo di trattamento (P < .001) e precisamente telcagepant + ibuprofene = 35.2%, telcagepant + acetaminofene = 38.3%, telcagepant in monoterapia = 31.2%, placebo = 10.9%. Non sono emerse differenze significative tra il gruppo in monoterapia e i due gruppi con la terapia di combinazione, ma in entrambi questi ultimi la percentuale di pazienti che avevano raggiunto l’end point primario d’efficacia era superiore al gruppo con monoterapia.Tutti i pazienti hanno ben tollerato i trattamenti somministrati. La percentuale di pazienti che hanno riferito effetti collaterali entro 48 ore era più alta nel gruppo con farmaco attivo rispetto al placebo e precisamente telcagepant + ibuprofene = 30.3%, telcagepant + acetaminofene = 31.6%, telcagepant in monoterapia = 24.8%, placebo = 18.2%. Gli effetti collaterali più comunemente riferiti (almeno 4 pazienti per gruppo) sono stati l’astenia, la nausea, le vertigini, la sonnolenza, la secchezza delle fauci ed il tremore. L’associazione di telcagepant 280 mg ed ibuprofene a 400 mg o acetaminofene a 1000 mg non ha mostrato differenze statisticamente significative rispetto al solo telcagepant. La maggiore percentuale di efficacia nei due gruppi con i farmaci in associazione rispetto al telcagepant 280mg in monoterapia indica che tale opzione terapeutica potrebbe avere risvolti anche significativi qualora testata su più ampia scala.
L’effetto a lungo termine dell’insonnia sulle cefalee primarie: uno studio di coorte prospettico sulla popolazione norvegese (HUNT-2 e HUNT -3)
[Odegård SS et al. Headache 2011;51(4):570-80]
Pochi studi prospettici hanno valutato fino ad oggi la correlazione a lungo termine esistente tra insonnia e cefalea. Questi autori norvegesi, basandosi sui dati di due grandi studi di popolazione, hanno analizzato la possibilità che l’insonnia possa avere nell’aumentare il rischio d’essere affetti da cefalea nel tempo e precisamente a distanza di 11 anni. Questo studio di coorte longitudinale include soggetti che hanno partecipato a due grandi studi di popolazione (Nord-Trøndelag Health Study-HUNT-2 e HUNT-3). Tra i soggetti reclutati di almeno 20 anni di età nello studio HUNT-2 (n = 92,566) e HUNT-3 (n = 94,194), 26.197 soggetti hanno completato la sezione dedicata alla valutazione della cefalea. La diagnosi d’insonnia è stata posta al momento dell’osservazione secondo i criteri del DSM-IV mentre quella di cefalea al momento del follow-up secondo i criteri della ICHD-2, utilizzando in entrambi i casi dei questionari. I soggetti non affetti da cefalea dello studio HUNT-2 (n=15268) sono stati considerati come controlli. Il rischio per cefalea nei soggetti affetti da insonnia è stato calcolato mediante regressione logistica. La presenza d’insonnia al baseline è associata ad un rischio d’essere affetti da cefalea aumentato del 40% nello studioHUNT-3 (RR = 1.4, 95% CI = 1.2-1.7).Risultati analoghi sono emersi per i differenti tipi di cefalea primaria quali cefalea di tipo tensivo,emicrania e cefalea non classificabile. I soggetti con notevole grado di disabilità lavorativa correlata all’insonnia avevano un rischio di cefalea aumentato del 60% (RR = 1.6, 95% CI = 1.3-2.1), maggiore per l’emicrania (RR = 2.0, 95% CI = 1.3-3.1) rispetto alla cefalea di tipo tensivo (RR = 1.5, 95% CI = 1.1-2.1). L’insonnia al baseline era correlata alla frequenza di cefalea al follow-up sia per l’emicrania sia per la cefalea di tipo tensivo. Gli autori concludono che nei soggetti non affetti da cefalea la presenza d’insonnia può nel tempo aumentare il rischio di cefalea, un’associazione che si è dimostrata più forte per le forme croniche.
Analogie tra attacchi vertiginosi da Malattia di Meniere e vertigini ricorrenti benigne con e senza emicrania.
[Brantberg K, Baloh RW. Acta Otolaryngol. 2011 Apr 6. [Epub ahead of print]
Gli attacchi di vertigini in pazienti affetti da vertigine benigna ricorrente (BRV) sono spesso indistinguibili da quelli che si presentano nei pazienti affetti da malattia di Meniere sia intermini di durata sia di fattori scatenanti e sintomi associati (oltre a quelli uditivi). In una sottopolazione di pazienti con BRV le vertigini sono associate ad emicrania. Questi autori hanno valutato se le caratteristiche cliniche degli attacchi vertiginosi potessero essere dirimenti nel distinguere i pazienti con BRV da quelli affetti da malattia di Meniere e se possono essere così individuati sottotipi differenti di BRV. Un’intervista strutturata è stata lo strumento utilizzato per analizzare le caratteristiche dei pazienti con BRV, ad esempio per individuare quelli con audiogramma normale e test calorico normale anche se affetti da vertigini ricorrenti (n=63). Un gruppo di pazienti con malattia di Meniere definita (n=112) è stato utilizzato come gruppo di confronto. Rispetto al gruppo con malattia di Meniere, i pazienti con BRV hanno una preponderanza del sesso femminile, una più precoce età d’esordio ed una maggiore incidenza d’emicrania (criteri IHS). Gli attacchi vertiginosi hanno una durata minore nei pazienti con BRV anche se resta un’ampia sovrapposizione nella durata dell’attacco tra i due gruppi. I fattori scatenanti (stress, emozioni, affaticamento, ciclo mestruale) ed i sintomi associati (disequilibrio, nausea e vomito, cefalea e fastidio alla luce) non differiscono in modo significativo tra i due gruppi.
MARZO 2011
Effetti di un contraccettivo orale privo di estrogeni e contenente desogestrel in donne affette da emicrania con aura: uno studio prospettico pilota.
[Nappi RE et al. Contraception. 2011 Mar;83(3):223-8. ]
Dal momento che l’emicrania con aura rappresenta una controindicazione all’uso di contraccettivi orali di combinazione (COCs) a causa dell’elevato rischio di ictus ischemico associato, gli autori hanno voluto indagare la possibilità di utilizzare un contraccettivo contenente esclusivamente progestinico (POP) come possibile alternativa in donne con MA e con eventuali malattie cerebrovascolari o fattori di rischio per stroke. E’ stato allestito uno studio pilota prospettico in cui sono state incluse 30 donne affette da emicrania con aura (MA) secondo i criteri diagnostici IHS, di cui 15 avevano in passato già assunto COCs e 15 non ne avevano mai usati. Le donne sono state seguite per 9 mesi consecutivi, periodo in cui ogni paziente segnava su un apposito diario le caratteristiche cliniche degli attacchi di cefalea. Dopo un periodo iniziale di 3 mesi, ad ogni donna veniva prescritto desogestrel 75 mcg/die (Cerazette ®; Schering-Plough, formerly NV Organon, Oss, The Netherlands). Le valutazioni di follow-up sono state programmate alla fine del 3° e 6° mese di trattamento. Dopo 6 mesi di trattamento con POP, rispetto al periodo iniziale, il numero medio di attacchi emicranici è risultato significativamente ridotto sia nelle donne che avevano precedentemente usato COCs sia nelle donne naïve. La durata del dolore emicranico non differiva in modo statisticamente significativo nei due gruppi al termine dello studio. Un effetto significativo del POP da segnalare è quello riportato al termine dello studio dalle sole pazienti che in precedenza avevano usato un COCs ossia la riduzione della durata dell’aura visiva e della durata complessiva dei sintomi neurologici. Il contraccettivo orale contenente solo progestinico è stato ben tollerato da tutte le donne partecipanti allo studio e il pattern di sanguinamento era variabile con una tendenza alla riduzione. Lo studio permette di concludere per la possibilità di usare un POP contenente desogestrel in una popolazione clinica di donne affette da MA e sottolinea un effetto positivo sui sintomi dell’aura, soprattutto in quelle pazienti che avevano sperimentato un peggioramento dell’aura in relazione all’assunzione di COCs.
Meteo ed emicrania: un’analisi prospettica.
[Zebenholzer K et a. Cephalalgia. 2011 Mar;31(4):391-400.]
Le correlazioni tra le variazioni meteorologiche e le cefalee sono da tempo invocate da più parti senza riscontri scientificamente validati. Questi autori viennesi hanno pensato di indagare l’ impatto che i fattori meteorologici hanno sulla cefalea e sull’emicrania in particolare e l’impatto dei cambiamenti quotidiani del tempo sulla probabilità che si verifichi un attacco di cefalea o di emicrania e che persista e la correlazione della percezione soggettiva delle variazioni climatiche con i dati oggettivi meteorologici. Gli autori hanno allestito uno studio prospettico di coorte in 238 pazienti affetti da emicrania con e senz’aura. I pazienti dovevano essere residenti in un’area distante dalla stazione meteo di Vienna non oltre250 km e dovevano compilare un diario per 90giorni. Sono stati analizzati 11 parametri meteorologici e 17 pattern sinottici del tempo. Per valutare la probabilità che l’emicrania o la cefalea si verificasse e perdurasse, gli autori hanno utilizzato un’analisi con regressione univariata e multivariata di Cox. Sono state calcolate le correlazioni tra la percezione soggettiva del tempo e i dati meteorologici. Dall’analisi uni- e multivariata, un pattern di alta pressione sembra aumentare il rischio di cefalea, mentre una bassa velocità media di vento quotidiana aumenta il rischio di emicrania, così come la durata del soleggiamento diurno variabile di giorno in giorno. Un cambiamento giorno per giorno della temperatura minima quotidiana diminuisce il rischio di persistenza dell’emicrania. Dopo correzione con tests multipli, nessuno di questi indici presenta una significatività statistica. La percezione soggettiva del tempo non correla con l’evenienza di un attacco di emicrania o di cefalea oppure con la sua persistenza. La percezione soggettiva di temperature troppo alte o troppo basse correla con la temperatura oggettiva media, minima e massima giornaliera. Gli autori concludono che l’influenza che le variazioni climatiche hanno sull’emicrania o sulla cefalea in generale sono minime e sicuramente discutibili.
FEBBRAIO 2011
La zonisamide per la profilassi dell’emicrania in pazienti intolleranti al topiramato: uno studio osservazionale.
[Villani V et al. Headache. 2011 Feb;51(2):287-91.]
La zonisamide, un analogo della sulfonamide, è un farmaco antiepilettico con meccanismi di azione simili a quelli del topiramato. Il farmaco per questo motivo ed anche a causa del suo profilo farmacodinamico e farmacocinetico appare potenzialmente utile nel trattamento di profilassi dell’emicrania. Questi autori romani hanno condotto uno studio osservazionale di tollerabilità ed efficacia della zonisamide nella prevenzione dell’emicrania in 34 pazienti con buona risposta terapeutica al topiramato, ma che hanno dovuto interrompere precocemente il trattamento a causa degli effetti collaterali di quest’ultimo. Dopo 1 mese di wash-out dal topiramato, i pazienti sono stati trattati con zonisamide (fino a 100mg/die) per 6 mesi consecutivi. La zonisamide è stata ben tollerata e solo 4 pazienti (12%) hanno riferito effetti collaterali transitori e sopportabili. Il numero medio di giorni di cefalea al mese si è ridotto da 14.9 5.3 giorni durante il periodo di wash out a 2.5 0.6 giorni dopo 6 mesi di trattamento con zonisamide (p<.001). Gli autori hanno, inoltre, osservato una significativa riduzione dell’intensità del dolore e del grado di disabilità correlato, come dimostrato dall’utilizzo della scala visuo-analogica per il dolore e dal questionario MIDAS. Infine, in confronto al mese precedente l’inizio della terapia con zonisamide, al termine del follow-up si registra un minor consumo di analgesici. I dati emergenti da questo studio osservazionale spingono gli autori a sostenere che la zonisamide possa rappresentare una terapia alternativa per la profilassi dell’emicrania almeno in una categoria selezionata di pazienti rappresentata da coloro che presentano una buona risposta al topiramato ma una scarsa tollerabilità.
La remissione dell’emicrania cronica in forma episodica: frequenza, fattori prognostici e conseguenze.
[Manack A et al. Neurology. 2011 Feb 22;76(8):711-8.]
Questo studio americano si è posto tre obiettivi: 1) valutare il grado di remissione dell’emicrania cronica (CM) in una forma episodica in un campione di soggetti della popolazione generale affetti da CM; 2) identificare i possibili fattori prognostici della remissione di una CM;3) stabilire l’influenza della remissione di CM sulla disabilità associata alla cefalea. Gli autori a tale scopo hanno analizzato i dati di un ampio studio prospettico di popolazione, l’American Migraine Prevalence and Prevention study, basato sulla valutazione di un questionario postale che conteneva domande sulla frequenza di cefalea, i sintomi associati, i dati demografici, eventuali comorbilità, il tasso di utilizzo delle strutture sanitarie e il grado di disabilità associato alla cefalea. I dati relativi ad un arco temporale di 3 anni sono stati analizzati per stabilire la frequenza di remissione della CM e di fattori predittivi di remissione usando modelli di regressione logistica. Le conseguenze della remissione sono state valutate osservano i cambiamenti nel tempo della disabilità valutati mediante MIDAS. 383 soggetti sono risultati affetti da CM nel2005 e nei due anni successivi di follow-up (2006-2007). In due anni, tra i soggetti con CM al baseline, circa il 34% (n=130) continuava ad essere affetto da CM mentre il 26% (n=100) presentava una remissione. Nel modello finale di analisi multivariata, i fattori predittivi di remissione includevano la frequenza di cefalea al baseline (15-19 vs 25-31 giorni di cefalea/mese; odds ratio [OR] 0.29; 95% intervallo di confidenza [CI] da 0.11 a 0.75) e l’assenza di allodinia (OR 0.45; 95% CI da 0.23 a 0.89). L’uso di farmaci di profilassi era associato un tasso di remissione più basso (OR 0.41; 95% CI da 0.23 a 0.75), ma quest’effetto perdeva di significatività nel momento in cui si introduceva la variabile frequenza della cefalea. Nei 2 anni di follow-up i pazienti che continuavano ad avere una CM presentavano un aumento della disabilità a differenza di quelli con remissione della CM. Gli autori sostengono che tali risultati possono avere importanti implicazioni cliniche, in particolare considerando la variabilità della frequenza di remissione. Tuttavia, il vantaggio della remissione di per sé è inferiore al vantaggio che si ottiene dalla riduzione dei sintomi associati e soprattutto della relativa disabilità.
GENNAIO 2011
Neurofeedback guidato dal QEEG in pazienti affetti emicrania ricorrente.
[Walker JE. Clin EEG Neurosci. 2011 Jan;42(1):59-61. ]
Un gruppo di 71 pazienti affetti da emicrania ricorrente, d’età compresa tra 17 e62 anni, afferiti nello studio di un medico di base americano, sono stati sottoposti ad esame elettroencefalografico con metodica quantitativa (QEEG). Tutti i risultati del QEEG indicano un esubero d’attività elettrica cerebrale ad alta frequenza nella banda beta (tra 21 e 30 Hz) in 1-4 aree corticali. 46 dei 71 pazienti registrati sono stati selezionati per essere sottoposti ad un training di neurofeedback (terapia comportamentale) mentre i restanti 25 hanno scelto di proseguire il trattamento farmacologico di profilassi. I protocolli di neurofeedback utilizzati hanno consentito una riduzione dell’attività a 21-30 Hz di frequenza ed un aumento dell’attività a 10 Hz (5 sessioni per ogni lato colpito dal dolore emicranico). Tutti i pazienti selezionati sono stati diagnosticati come affetti da emicrania senz’aura secondo i criteri diagnostici ICHD-II. La maggior parte (54%) del gruppo dei pazienti trattati con neurofeedback hanno presentato una remissione completa degli attacchi emicranici e il 39%, una riduzione della frequenza di crisi superiore al 50%. I l4% ha presentato una riduzione della frequenza di crisi inferiore al 50%.Solo un paziente non ha presentato una riduzione della frequenza di cefalea. Il 68% dei soggetti del gruppo di controllo che ha scelto di proseguire il trattamento farmacologico non ha presentato alcuna variazione della frequenza di crisi, il 20%, una riduzione della frequenza inferiore al 50% e solo l’8%, una riduzione superiore al 50%. L’autore conclude che il neurofeedback, trattamento scevro da effetti collaterali, mirato sui dati del QEEG può risultare significativamente efficace nell’abolire o migliorare la frequenza delle crisi in pazienti con emicrania ricorrente.
Il nemico è il nocebo, non il placebo! Una metanalisi degli effetti collaterali riportati dopo trattamento con placebo nelle cefalee.
[Mitsikostas DD et al. Cephalalgia. 2011 Jan 7. [Epub ahead of print]
L’obiettivo di questo studio è di determinare l’entità dell’effetto “nocebo” (definito come effetti collaterali correlati alla somministrazione di placebo) negli studi clinici sulle cefaleee primarie. Gli autori hanno revisionato tutti gli studi farmacologici, controllati versus placebo, relativi ad emicrania, cefalea di tipo tensivo e cefalea a grappolo pubblicati tra il 1998 ed il 2009. La frequenza dell’effetto nocebo è stata calcolata come la percentuale di pazienti trattati con placebo che hanno riportato almeno un evento collaterale. La frequenza di “drop out” (pazienti che hanno interrotto lo studio) è stata calcolata come la percentuale di pazienti trattati con placebo che hanno interrotto il trattamento per intolleranza. Negli studi sui farmaci sintomatici per emicrania, la frequenza di nocebo e di drop out è stata rispettivamente del 18.45% e 0.33% ma saliva a 42.78% e 4.75% negli studi sui farmaci di profilassi antiemicranica. Negli studi di profilassi per la cefalea di tipo tensivo le frequenze dell’effetto nocebo e di drop out erano del 23.99% e del 5.44%, per il trattamento sintomatico della cefalea a grappolo la frequenza di nocebo era del 18.67%. Gli autori concludono che l’effetto nocebo è molto frequente nei trials clinici per le cefalee primarie, in particolare negli studi di profilassi. Il numero di drop out in questi studi dovuti all’effetto nocebo può confondere l’interpretazione di molti trials clinici.
Studio PET della fotofobia durante attacchi spontanei di emicrania
[Denuelle M et al. Neurology 2011 Jan 18;76(3):213-8]
La fotofobia è definita come un’anomala sensibilità alla luce che si sperimenta durante gli attacchi di emicrania. La fisiopatologia della fotofobia è ancora oggi poco conosciuta. Tuttavia, vi sono almeno due dati che dimostrano di essere collegati al possibile meccanismo fisiopatogenetico della fotofobia: l’ipereccitabilità della corteccia cerebrale visiva da un lato e dall’altro le interazioni tra le aree visive e il sistema nocicettivo trigeminale. Questi autori francesi hanno studiato mediante PET la fotofobia indotta da uno stimolo luminoso continuo su tutto il campo visivo in 8 soggetti emicranici durante attacchi spontanei di emicrania, dopo la risoluzione del dolore mediante somministrazione di sumatriptan e nel periodo intercritico. L’intensità dello stimolo luminoso capace di indurre fotofobia con successivo incremento della cefalea è stata calcolata per ogni singolo paziente. Gli autori hanno riscontrato che una bassa intensità di stimolazione luminosa (in media 240 Cd/m2) attiva la corteccia visiva durante gli attacchi emicranici e dopo la risoluzione del dolore mediante sumatriptan ma non nel periodo intercritico. L’attivazione della corteccia visiva appariva più massiva, con differenza statisticamente significativa, durante l’attacco emicranico rispetto alla fase di risoluzione del dolore indotta farmacologicamente. Questi dati suggeriscono che la fotofobia dell’attacco emicranico è legata all’ipereccitabilità della corteccia visiva. Il meccanismo di questa ipereccitabilità corticale non può essere spiegato solo mediante l’attivazione del sistema nocicettivo trigeminale perché persiste anche quando il dolore scompare mediante trattamento sintomatico. Gli autori ipotizzano che la modulazione dell’eccitabilità della corteccia cerebrale durante l’attacco emicranico possa essere sotto il controllo di nuclei tronco-encefalici.