IV Giornata ANIRCEF in Lombardia 

LE CEFALEE SECONDARIE: IATROGENE E CARDIOVASCOLARI 

SARNICO (BG), sabato 22 settembre 2012 

A cura di Parma Russo

Argomento della IV Giornata ANIRCEF in Lombardia, tenutasi a Sarnico (BG), nella stessa sede che ha ospitato l’evento lo scorso anno, sono state le cefalee secondarie, in particolare le cefalee attribuite a disordini vascolari cranici o cervicali e quelle attribuite a farmaci.
L’incontro si è aperto con la lettura magistrale del Dott. G. D’Andrea (Padova), che ha presentato i risultati delle sue ultime ricerche sulla patogenesi dell’emicrania, più in particolare sul ruolo dei neuromodulatori nella trasformazione dalla forma episodica a quella cronica.
Il 2,5% delle emicranie episodiche si trasforma ogni anno in forma cronica.
I soggetti emicranici presentano degli anomali livelli di neurotrasmettitori eccitatori: il glutammato e l’aspartato risultano infatti aumentati nel plasma, nelle piastrine e nel liquor. L’associazione di tale incremento degli aminoacidi eccitatori con la riduzione del GABA, principale neurotrasmettitore inibitorio del SNC, e del magnesio, rende conto della condizione di ipereccitabilità del cervello emicranico.
Gli individui emicranici presentano inoltre una ridotta secrezione e aggregazione piastrinica, un aumento dei corpi densi piastrinici, con una riduzione dell’ATP e un aumento dell’A DP: tutto questo in conseguenza di una ridotta attività mitocondriale.
In condizioni di ridotta energia mitocondriale sembra verificarsi uno shift del metabolismo della tirosina, l’aminoacido da cui derivano dopamina e noradrenalina, verso la via delle cosiddette amine elusive, tiramina, octopamina e sinefrina, che tendono quindi ad accumularsi, così come la dopamina, catabolizzata dalla dopamina beta-idrossilasi, la cui attività è geneticamente ridotta negli emicranici (il gene che codifica per l’enzima è polimorfico). La via delle amine elusive dipende da un enzima, la tirosina decarbossilasi, filogeneticamente ancestrale e capace di funzionare quindi con bassi livelli energetici, a differenza della tirosina idrossilasi che è un enzima più specifico dei mammiferi e che richiede elevati livelli di energia per funzionare.
Tiramina, octopamina e dopamina sono agonisti dei recettori TAAR-1, scoperti nel 2001, localizzati a livello presinaptico in diverse aree cerebrali (rinencefalo, sistema libico, amigdala, ipotalamo, sistema extrapiramidale e locus coeruleus), la cui attivazione determina l’inibizione della secrezione sinaptica di neurotrasmettitori. Il bilancio non fisiologico tra neuromodulatori da una parte (tiramina, octopamina e sinefrina) e neurotrasmettitore dall’altra (dopamina e noradrenalina) determinerebbe così un alterato funzionamento delle sinapsi a livello dei nuclei del sistema antinocicettivo, determinando così un’attivazione del sistema trigemino-vascolare.
Il peggioramento dell’emicrania, con la conseguente trasformazione in forma cronica, deriverebbe proprio da un peggioramento dell’attività mitocondriale, con conseguente aumento di dopamina e amine elusive.
Uno studio del gruppo del Prof. Bussone (Istituto Besta di Milano), ha recentemente mostrato, utilizzando la RM funzionale, che i pazienti con emicrania cronica associata ad overuse di sintomatici presentano un’ipofunzione del sistema orbitofrontale che pare recuperare dopo disintossicazione: tale procedura terapeutica non sembra però in grado di determinare il recupero dell’area tegmentale ventrale, che rimane ipofunzionante. Questo dimostra che anche la disuassefazione non è in grado di eliminare lo “zoccolo duro” della cronicizzazione.
La prima sessione, moderata dal Dott. Poloni e dalla Dott.ssa Partziguian (Bergamo), si è aperta con la relazione del Dott. Cantalamessa, responsabile del Centro di Medicina Generale e Cardiometabolico dell’Ospedale di Sarnico, sul rapporto tra cefalea ed ipertensione arteriosa. L’ipertensione, che si può definire come un incremento stabile dei valori sistolici e/o diastolici della pressione arteriosa, è una condizione ad alta prevalenza nei Paesi industrializzati e comunque sottostimata se si considera che è spesso asintomatica (solo alcuni individui lamentano cefalea, acufeni e parestesie).
La maggior parte delle forme di ipertensione non riconosce una causa sottostante (ipertensione essenziale o primaria): probabilmente le alterazioni che si riscontrano a livello del sistema nervoso autonomo (iperattività del simpatico) e del sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone (RAA) e l’aumentata resistenza all’insulina riconoscono anche una base genetica.
Esistono poi forme di ipertensione secondaria ad altre malattie (renali, tiroidee, surrenaliche ecc.).
La cefalea causata dall’ipertensione arteriosa è aspecifica, è tipicamente mattutina, ma non ha una sede peculiare.
L’emicrania è una condizione associata spesso all’ipertensione arteriosa. Tale associazione aumenta il rischio vascolare. L’utilizzo dei sartani nella profilassi dell’emicrania ad alta frequenza (candesartan in particolare) trova un suo razionale nell’azione che il sistema RAA sembra svolgere anche a livello encefalico.
Nella seconda relazione della prima sessione, il Dott. Censori, responsabile della Stroke Unit degli Ospedali Riuniti di Bergamo, ha parlato della relazione tra emicrania e pervietà del forame ovale, che sembra essere bidirezionale: nei soggetti emicranici, in particolare nei soggetti affetti da emicrania con aura, si riscontra frequentemente il forame ovale pervio e nei soggetti con pervietà del forame ovale, l’emicrania con aura risulta 2-3 volte più frequente che nella popolazione generale. Dagli studi presenti in letteratura, emerge che anche il difetto del setto interatriale e lo shunt polmonare sono più frequenti nei soggetti con emicrania con aura che nei controlli.
I meccanismi patogenetici dell’emicrania associata a shunt dx-sxrestano restano soltanto ipotetici: embolia paradossa, shunt di sostanze neuro-vasoattive come la serotonina, ipossia da shunt, sindrome neurocardiaca. È possibile che dei microemboli passino attraverso il forame ovale determinando una condizione di ipossia non sufficientemente grave da causare un disturbo circolatorio transitorio (TIA) o un’ischemia cerebrale, ma comunque sufficiente ad innescare la cortical spreading depression responsabile dell’innesco dell’aura emicranica. Tali microemboli potrebbero essere costituiti da microaggregati piastrinici che tendono a disgregarsi autonomamente.
Gli studi che hanno evidenziato un miglioramento dell’emicrania dopo chiusura percutanea del forame ovale pervio (procedura peraltro gravata da complicanze emorragiche ed aritmiche) sono tutti metodologicamente imperfetti (retrospettivi, non controllati, senza confronto con il placebo, senza una definizione chiara di emicrania pretrattamento, ecc.). Esiste oggi un solo trial clinico di classe I che non evidenzia beneficio con la procedura.
In conclusione, anche gli interventi del Dott. D’Andrea e del Prof. Bussone hanno contribuito a chiarire che non c’è al momento nessuna indicazione ad intervento di chiusura del forame ovale pervio per emicrania con aura, considerando anche l’efficacia di lamotrigina e basse dosi di acido acetilsalicilico nella riduzione della frequenza di questa forma di cefalea.

Nella seconda sessione della mattina, moderata dal Dott. Frediani (Milano) e dal Dott. Leone (Milano, Besta), sono state trattate le cefalee secondarie che si associano a due vere e proprie urgenze neurologiche, l’arterite a cellule giganti e la dissecazione dei vasi cervico-cefalici.
L’arterite a cellule giganti (o arterite di Horton), oggetto della relazione della Dott.ssa Moschiano (Pavia), è una vasculite sistemica immuno-mediata che interessa le arterie di medio e grosso calibro, prevale nella razza caucasica e predilige il sesso femminile (F:M=2-3:1). Ha un’incidenza dopo i 50 anni di 30 casi / 100.000 in Danimarca, 17.8 casi / 100.000 ad Olmsted (USA) e di 7 casi /100.000 in Italia: essa sembra aumentare con l’età e con la latitudine (gradiente Nord-Sud).
Dal punto di vista eziologico, è stato ipotizzato il ruolo di fattori ambientali (Parvovirus, Mycoplasma, Clamidia, Virus Parainfluenzale di tipo A) e fattori genetici (HLADRB1).
Il quadro istopatologico è caratteristico: nella lamina elastica del vaso si nota una reazione granulomatosa che ha però una distribuzione segmentale (il che può spiegare le difficoltà di fare diagnosi con la biopsia).
L’arterite di Horton può dare un ampio spettro di manifestazioni cliniche, ma nessuna di queste è patognomonica: possono essere presenti febbre (esordio acuto con picco febbrile, ma anche febbricola, calo ponderale, astenia. Esiste una forte associazione con la polimialgia reumatica (tanto che alcuni autori tendoni a considerarle un continuum patologico).
Altri segni e sintomi sono: cefalea (90%), dolenzia dello scalpo (50%), salienza dell’arteria temporale superficiale. Possono già essere considerate complicanze ischemiche la claudicatio mandibolare (50%) e degli arti superiori (15%) e i disturbi visivi (amaurosi fugax 15%, diplopia 6%, ptosi). Il meccanismo attraverso cui si può determinare una perdita permanente della vista (che si verifica nel 20% dei casi) è l’occlusione delle arterie ciliari posteriori che determina una neurite ottica ischemica anteriore (NOIA). Questa è una delle complicanze più temibili della Horton e può essere precoce, non si associa a dolore oculare e può divenire bilaterale in 7-14 giorni. Altre possibili complicanze possono essere: aneurismi, dissezioni, mononeuropatie e polineuropatie, TIA-ictus, necrosi dello scalpo, ulcera della lingua, infarto del miocardio.
La cefalea non presenta caratteristiche peculiari. La sede è variabile, di solito è temporale, ma può anche essere occipitale, nucale irradiata al vertice od olocranica. L”intensità è moderata o severa, risulta poco responsiva ai FANS. Può essere episodica o continua, si può presentare tipicamente nel pettinare i capelli.
Secondo i criteri della Seconda Classificazione dell’IHS del 2004, la cefalea associata all’arterite di Horton deve essere una cefalea persistente che si sviluppa in stretta relazione temporale con altri sintomi e segni e che si risolve o migliora notevolmente entro 3 giorni dall’inizio di steroidi ad alte dosi. Tutto questo in presenza di un’arteria dello scalpo dolente con rialzo di VES e PCR oppure in presenza di una biopsia dell’arteria temporale positiva.
Secondo i criteri dell’American College of Rheumatology (ACR) del 1990 devono invece essere soddisfatti almeno 3 criteri su 5: età di inizio di malattia maggiore di 50 anni, cefalea di nuova insorgenza, anormalità dell’arteria temporale (dolore alla palpazione, ridotta pulsatilità, presenza di nodularità lungo il decorso, VES >50 mm/1° ora, biopsia dell’arteria temporale positiva (presenza di infiltrato infiammatorio con prevalenza di mononucleati, con o senza cellule giganti multinucleate). Il gold standard è rappresentato dalla biopsia dell’arteria temporale.
Degli indici infiammatori, il più sensibile è rappresentato dalla IL-6, che viene però difficilmente dosato nei comuni laboratori. La VES può non essere significativamente alterata in una percentuale variabile dal 5 al 30% dei soggetti con biopsia positiva. La biopsia ha peraltro un’alta percentuale di falsi negativi (45%) in considerazione della suddetta distribuzione segmentale della malattia. Tra i segni e i sintomi, la cefalea associata ad un rialzo della VES è più sensibile, mentre claudicatio mandibolare, diplopia e salienza dell’arteria temporale sono più specifici.
Nel sospetto di Arterite a Cellule Giganti, anche se la VES è normale, conviene iniziare comunque a trattare il paziente, ripetere la VES dopo 24 ore e se è ancora normale eseguire la biopsia (se il dolore è occipitale questa andrà fatta sull’arteria occipitale). Va poi dosata anche la PCR. L’importanza della diagnosi di certezza deriva dalla necessità di proseguire per molto tempo la terapia steroidea che comporta noti effetti collaterali in cronico.
L’Eco Doppler dell’arteria temporale può essere d’aiuto se mostra l’halo sign, una rima ipoecogena intorno al lume dell’arteria che si presenta tortuosa. Può esserci anche un interessamento dell’arteria vertebrale.
La terapia dell’arterite di Horton è rappresentata da alte dosi di steroidi: prednisone 40-60 mg/die, da ridurre del 5-10% ogni 7-14 giorni quando il paziente diventa asintomatico, per un totale di 1-2 anni e comunque sempre anche in base all’andamento degli indici di flogosi.
La cefalea dell’arterite di Horton, quando associata a disturbo visivo, va trattata con metilprednisolone 1 g per 3 giorni (proseguendo poi con prednisone per os).
Quando controindicati gli steroidi, è utile il Metotrexate. ASA, calcio e vitamina D possono essere utili in chiave preventiva.
Per concludere, in presenza di una cefalea persistente in un paziente di più di 50 anni, si deve sempre sospettare una Horton che rappresenta una vera emergenza medica e in presenza anche del solo sospetto clinico, lo steroide va iniziato subito. Test di laboratorio e biopsia sono dirimenti per la diagnosi. Il monitoraggio clinico e degli indici di flogosi aiutano a stabilire la giusta durata del trattamento.
Nella relazione successiva, il Dott. Colombo (Milano, San Raffaele) ha trattato la cefalea secondaria a dissecazione dei vasi cervicocefalici. La dissecazione interessa più frequentemente la carotide interna nel suo tratto extracranico rispetto all’arteria vertebrale (con un’incidenza di 2-3 casi/100.000 anno contro 1-1.5 casi/100.000 anno). Il 70% dei casi si verifica in soggetti che hanno meno di 50 anni ed è la più frequente causa di ictus giovanile.
Dal punto di vista patologico, la dissecazione consiste in una fissurazione dell’intima dell’arteria interessata con la creazione di un falso lume. La conseguenza della creazione di questo falso lume può essere l’occlusione del vaso, se il sangue tende ad accumularsi verso l’interno (in angiografia si vede il tipico segno della coda di topo) o lo pseudoaneurisma se il sangue tende ad accumularsi verso l’esterno. La carotide interna è tipicamente interessata nel suo segmento cervicale, 2-3 cm sopra il bulbo, mentre la vertebrale è colpita solitamente nel suo segmento distale, in corrispondenza della I o II vertebra cervicale. Nel 20% dei casi le dissecazioni possono essere multiple. Alla base della fissurazione dell’intima ci può essere un difetto strutturale della parete del vaso (collagene) come spesso si verifica nelle malattie del connettivo (in questi casi le anomalie vanno ricercate anche in altra sede, ad esempio alla cute).
La dissecazione di carotide interna può manifestarsi con un’emicrania omolaterale con successiva insorgenza di segni neurologici, come deficit degli ultimi nervi cranici (solitamente IX, X e XII) o un Horner parziale. Il dolore è il sintomo cardine (presente nel 75% dei casi), è unilaterale nei 2/3 dei casi, temporo-parietale o periorbitario. Nel 25% dei casi si estende al collo. Il dolore è cervicale fin dall’esordio solo nel 6-7% dei casi.   Nel 30% dei casi interessa guancia, mandibola e orecchio. Il dolore può precedere l’insorgenza dei segni neurologici anche di 4 giorni. L’insorgenza è graduale, solo nel 10% dei casi si manifesta come thunderclap. È pulsante solo nel 25% dei casi, più tipicamente è continuo.
Diversa è la presentazione della dissecazione di vertebrale: la cefalea è al collo nella metà dei casi e può essere il sintomo iniziale nel 20% dei casi. Inoltre nel 60% dei casi concomitano segni neurologici (nel 40% dei casi compaiono entro 14 ore. Il 25% dei casi si presenta come thunderclap. Fattore predisponente che va indagato con l’anamnesi è la terapia manipolativa nei 30 giorni prima.
Gli elementi che devono far sospettare una dissecazione sono: traumi in flesso-estensione del collo, recenti infezioni (soprattutto nel caso di dissecazioni multiple), manipolazioni, lunghi viaggi aerei, displasia fibromuscolare, connettivopatie, fumo, ipertensione, estroprogestinici. Le complicanze possono essere severe: TIA, ictus ischemico (nel caso della vertebrale l’ischemia del tronco). La dissecazione di carotide interna nel suo tratto intracranico è gravata da un’alta mortalità (75%).
Proprio per la gravità delle complicanze è importante una diagnosi precoce che si deve avvalere di RM (con studio in DWI per vedere eventuali danni ischemici precoci del parenchima) e angio RM e, in alcuni casi, qualora non si veda bene il lume o si prospetti l’utilizzo di stent o altri devices, l’angiografia.
Dal punto di vista terapeutico, solitamente si intraprende una terapia anticoagulante per almeno 3 mesi con successivo passaggio all’antiaggregante. Nel 25% dei casi residuano comunque deficit neurologici. La percentuale di recidiva è più alta nel primo mese.
Esiste una relazione tra emicrania e dissecazione? Il 40% dei pazienti dissecati ha una storia di emicrania e i pazienti emicranici rischiano due volte di più di avere una dissecazione.
La dissecazione di carotide interna, rispetto a quella di vertebrale, colpisce pazienti più anziani, maschi, è spesso post-traumatica e può causare ictus severi (NIHSS elevato).
Sono riportati casi in letteratura di presentazioni atipiche della dissecazione: una dissecazione di carotide che si è presentata con una cefalea a grappolo e una dissecazione di vertebrale che si è presentata come SUNCT.

La prima relazione del pomeriggio è stata anticipata al termine della mattinata: il Dott. Casucci (Napoli) ha parlato delle linee guida della terapia sintomatica dell’emicrania. Per introdurre l’argomento ha ricordato quali sono i criteri per impostare una sola terapia sintomatica: bassa frequenza di crisi (2-3 attacchi al mese, meno di 4 giorni di disabilità al mese, durata abituale senza trattamento di 24 ore). Ciò che il medico si aspetta da una terapia sintomatica è la scomparsa del dolore, il sollievo dai sintomi associati e il recupero funzionale del paziente. La risposta alla terapia acuta non può prescindere da una diagnosi corretta e dipende dall’assunzione precoce di dosi adeguate. È importante cercare di evitare un overuse prolungato (importante per questo l’adozione di strategie complementari).
L’azione dei triptani si esplica a tre livelli: vascolare, neurogenico e centrale. Per questi farmaci la risposta individuale è fondamentale. La finestra terapeutica per trattare un attacco di emicrania sembra essere di circa 60 minuti (forse arriva fino a 120 minuti). Comunque se assunto entro 30 minuti, la risposta è 13 volte migliore. Gli effetti collaterali sono noti (senso di oppressione toracica, parestesie, ecc.) e comunque si verificano nell’1-2% dei casi (l’almotriptan sembra quello meglio tollerato). Sono controindicati in gravidanza, sotto i 18 anni e sopra i 65 anni, nei pazienti con pregressi eventi cardiaci o cerebrovascolati, ipertesi non controllati e nell’emicrania emiplegica. La dose successiva va assunta a distanza di almeno due ore.
Altra classe di sintomatici sono gli ergotaminici che però sono ormai poco utilizzati per la scarsa maneggevolezza.
Dei FANS si sono ricordati gli effetti collaterali a livello gastrico e renale, dei COX2 inibitori l’aumentato rischio cardiovascolare legato alla loro assunzione. Forse COXibici ed ergotaminici funzionano anche nella terapia dell’attacco avanzato.
Le indicazioni in gravidanza sono le seguenti: il paracetamolo e la metoclopramide possono essere sempre utilizzati, l’ibuprofene è sicuro fino alla 30^ settimana, il sumatriptan non ha mai evidenziato una teratogenicità ed è probabilmente il più sicuro in gravidanza; nel caso degli attacchi più severi può essere utilizzato il cortisone.
Per concludere il Dott. Casucci ha ricordato che non le associazioni farmacologiche non sono consigliate e che non andrebbero mai utilizzati gli oppiodi. Il desamtesone è riservato agli attacchi intrattabili.
Le ultime linee guida ANIRCEF del trattamento delle cefalee nell’adulto (AGENAS 2011) contengono anche i principi base del trattamento sintomatico dell’emicrania.
Negli adolescenti possono essere utilizzati il sumatriptan spray nasale (10 mg), lo zolmitriptan spray nasale (5 mg) oppure l’eletriptan (40 mg).
Un’ultima considerazione: il fatto di consigliare l’assunzione precoce del sintomatico può essere un’arma a doppio taglio perché se da una parte facilita la risoluzione dell’attacco, dall’altra è un atteggiamento che predispone all’abuso.
La lettura magistrale del Prof. Bussone ha ripercorso le tappe della storia dell’ANIRCEF, dalla sua fondazione ad oggi.