V Giornata ANIRCEF in Lombardia
LE ETA’ DELLA CEFALEA
SARNICO (BG), sabato 21 settembre 2013
A cura di Marco Russo
Centro Cefalee di Parma
Argomento della V giornata ANIRCEF in Lombardia, nella ormai abituale sede di Sarnico (BG), sono state le cefalee nelle diverse età della vita, dall’infanzia all’età avanzata.
La prima sessione, moderata dal Dott. Casucci (Benevento) e dal Dott. Poloni (Bergamo), ha avuto per argomento l’infanzia e l’ adolescenza.
Della gestione del paziente cefalalgico in età giovanile ha parlato la Dott.ssa Grazzi (Milano, Besta). La sua relazione si è aperta con la presentazione di tre tipici esempi di pazienti giovani cefalalgici che potrebbero presentarsi in un Ambulatorio Cefalee: 1) ragazza di 12 anni, vicina al menarca (la madre riferisce ricorrenti dolori addominali), che da circa 6 mesi lamenta episodi di dolore all’emicranico di destra (ma talvolta anche a sinistra o bilaterali), della durata di circa 2 ore, associato a nausea e vomito, pallore, fotofobia e fonofobia, che rispondono solo parzialmente ai FANS; 2) ragazzo di 17 anni che soffre di cefalea sporadicamente da almeno 4 anni. La frequenza è progressivamente aumentata e la cefalea si manifesta prevalentemente nel periodo invernale. Il dolore è bilaterale e si associa talvolta a nausea. A scuola arriva ad assumere fino a 3-4 analgesici a settimana. E’ un ragazzo con buone performance scolastiche e abitudini di vita molto irregolari (non fa colazione, va a letto tardi la sera, pranza molto tardi); 3) ragazza di 14 anni che presenta da circa 6 mesi una cefalea frontale, non pulsante, di intensità media, che la ostacola nello svolgimento delle sue attività. Nell’ultimo anno i genitori hanno divorziato. I tre casi corrispondono rispettivamente ad una forma di emicrania senz’aura, ad un’emicrania senz’aura ad elevata frequenza associata ad una cefalea di tipo tensivo con alto rischio di overuse e ad una cefalea di tipo tensivo.
La visita per cefalea in un paziente giovane deve prevedere innanzitutto un’accurata raccolta anamnestica, incentrata sulla storia medica, ma anche familiare e psicologica. Particolare attenzione deve poi essere prestata alle caratteristiche cliniche della cefalea ed ai sintomi di accompagnamento. Nei giovani, in particolare nei bambini, il vomito, ed i sintomi vegetativi in generale, sono frequentemente associati al mal di testa (devono stare a letto e spesso devono perdere giorni di scuola). In questa fascia di età possiamo spesso osservare la coesistenza di più forme di cefalea primaria e l’evoluzione da un tipo di mal di testa ad un altro: non è raro per esempio che una ragazza con una cefalea tensiva in età pre-pubere sviluppi un’emicrania senz’aura dopo il menarca.
La visita deve proseguire quindi con l’esame obiettivo e con l’eventuale richiesta diesami strumentali. A questo proposito va detto che, se da una parte c’è spesso la tentazione di richiedere esami (in particolare la RM) per rassicurare il paziente ed i genitori, bisogna considerare anche il rischio che i pazienti non si accontentino poi di un solo riscontro e ripetano quindi esami nel tempo senza che ce ne sia bisogno.
Si stima che il 75% dei ragazzi che hanno meno di 15 anni abbia avuto almeno un episodio di cefalea nella vita. Percentualmente la forma più frequente di cefalea è rappresentata dalla cefalea di tipo tensivo (75%), seguita dall’emicrania senz’aura (25%) e da quella con aura (5%). La cefalea a grappolo in età pediatrica è rarissima (spesso i pazienti che giungono in ambulatorio con questa diagnosi hanno in realtà un’altra forma). In tale fascia di età esistono anche le forme croniche (dolore quotidiano o quasi quotidiano, assunzione di elevato numero di sintomatici, componente emotiva), che hanno una frequenza compresa tra lo 0.2 e lo 0.9% (fino al 2%).
L’approccio terapeutico dovrebbe essere multidisciplinare. Sono importanti le modificazioni dello stile di vita (i ragazzi sono spesso soli, vanno a letto tardi la sera e magari si alzano presto alla mattina e vanno a scuola saltando la colazione, ritardano il pranzo, non fanno attività fisica regolare), la farmacoterapia ma anche la psicoterapia ed eventualmente le misure complementari. L’intervento psicoterapeutico dovrebbe indagare la presenza di disagio familiare, scolastico (per esempio calo delle performance), sociale (isolamento, mancanza di amicizie). Non dovrebbe necessariamente prevedere un impegnativo approccio psicoanalitico freudiano, ma essere incentrato piuttosto su tecniche cognitivo-comportamentali, meno dispendiose in termini di tempo (anche solo 1 volta al mese con compiti a casa). Le terapie complementari includono invece biofeedback, tecniche di rilassamento, trattamento dello stress, agopuntura.
Per quanto riguarda la farmacoterapia, in letteratura esistono pochi lavori di confronto con placebo nei giovani.
I sintomatici dovrebbero ad ogni modo essere sicuri ed efficaci, soprattutto nell’emicrania senz’aura (nella cefalea di tipo tensivo risultano spesso non efficaci). I FANS sono gli stessi utilizzati nell’adulto (paracetamolo, ibuprofene, naprossene, ecc.). Per quanto riguarda i triptani, dalla fine del 2007 esistono studi di confronto con placebo in ragazzi di meno di 16 anni che hanno dimostrato efficacia e contemporaneamente scarsità di effetti collaterali. Dai 12 anni in poi è possibile quindi utilizzarli (non soltanto sumatriptan spray nasale, ma anche almotriptan, zolmitriptan, rizatriptan).
I farmaci di profilassi sono gli stessi utilizzati nell’adulto. Vanno considerati propranololo (molto usato dagli anglosassoni), amitriptilina (prima scelta nella tensiva anche nel giovane), ma anche topiramato o valproato, tossina botulinica nelle forme ad alta frequenza, magnesio (regolatore del tono dell’umore), o integratori (es. magnesio + ginkgo biloba + coenzima Q10 + riboflavina). In generale la profilassi è particolarmente importante quando si deve ottenere un rapido miglioramento dei sintomi (es. in prossimità della fine dell’anno con un esame alle porte).
Nel corso della discussione, il Dott. Casucci ha sottolineato il ruolo delle abitudini di vita nell’insorgenza delle cefalee. Il cervello dei bambini è infatti ipereccitabile e può risentire negativamente della stimolazione con TV o computer. Inoltre il paracetamolo, molto usato in questa categoria di pazienti, è un farmaco in grado di ipereccitare e far cronicizzare la cefalea. Il Dott. Casucci ha inoltre invitato a preferire farmaci di profilassi che non facciano aumentare di peso e ad utilizzare esami diagnostici solo se strettamente necessari, considerando la pericolosità di indagini come la TC, soprattutto sotto i 12 anni (aumento del 30% del rischio di sindromi mielodisplasiche).
Infine nel corso del dibattito, è stata ribadita la potenziale utilità in prevenzione del triptofano, che pur sembrando una sostanza fuori moda, può avere ancora una sua utilità.
Nella sessione successiva, moderata dal Dott. Aguggia (Asti) e dal Dott. Poloni (Bergamo), il Dott. D’Amico (Milano, Besta) ha tenuto una relazione dal titolo “Disabilità e qualità di vita: differenze di genere?”. L’attacco emicranico produce disabilità perché è di intensità elevata, presenta fenomeni associati, è duraturo e tende a ricorrere. Tutto questo vale anche, e a maggior ragione, nelle forme croniche. L’impatto sociale dell’emicrania è il risultato dell’elevato impatto personale e dell’alta prevalenza del disturbo (soprattutto in età giovane-adulta). La disabilità va intesa come ridotta produttività: il MIDAS è uno strumento di semplice utilizzo che ne consente la quantificazione attraverso domande relative al tempo perso a causa del mal di testa non soltanto in ambito lavorativo, ma anche nell’ambito delle attività domestiche e di svago. Un altro strumento utilizzabile è quello messo a punto dall’OMS, il WHODAS II. Negli ultimi anni, l’emicrania ha raggiunto il 7° posto tra le malattie croniche più disabilitanti (incrocio tra dati di prevalenza e ricadute di impatto).
L’emicrania ha anche un notevole impatto sulla qualità di vita. Tale parametro si misura attraverso la scala SF-36 (non specifica per il mal di testa).
Il Dott. D’Amico ha poi cercato di rispondere alla domanda sull’esistenza di differenze di genere relative alla disabilità, presentando il risultato di diversi studi, non soltanto nazionali. Gli studi su campioni ampi tendono generalmente a mascherare l’esistenza di differenze di genere. Se però andiamo a studiare una popolazione di pazienti selezionati (per esempio gli emicranici cronici), le femmine risultano più disabilitate dei maschi. I motivi possono essere ricercati nelle maggiori comorbilità delle donne emicraniche, nei molteplici ruoli che la donna svolge nella società e nelle peculiarità cliniche che l’emicrania presenta nella donna (legate a fattori ormonali).
Successivamente il Prof. Bussone ha tenuto una lettura magistrale dal titolo “Il punto sul rapporto tra le vie del dolore ed il cervello emozionale nella patologia cefalalgica”. Negli anni ‘7 0 l’emicrania era considerata una forma di cefalea ad origine periferica: si pensava che l’attacco fosse causato da una vasodilatazione a cui gli emicranici erano predisposti a causa di un ipotono dei vasi intracranici legato alla carenza di serotonina (di qui l’intuizione di Federico Sicuteri di utilizzare farmaci serotonino-mimetici per curare questa forma di cefalea (pizotifene, metisergide). È inoltre noto da tempo il ruolo dell’infiammazione sterile o neurogena nello scatenamento della crisi. L’emicrania era considerata quindi a tutti gli effetti una cefalea vaso-motoria.
Negli ultimi anni abbiamo però assistito ad un’evoluzione della conoscenza nell’ambito della patogenesi dell’emicrania.
L’attacco emicranico si caratterizza fondamentalmente per tre aspetti, l’aspetto affettivo, quello vegetativo e quello nocicettivo. Non è possibile che tutto questo provenga soltanto dalla periferia.
Il cervello emicranico è ipereccitabile e questo è il motivo per cui nella profilassi funzionano neuromodulatori come topiramato o valproato (che peraltro vanno proseguiti per tempi idonei alla modifica della bilancia tra eccitazione ed inibizione).
L’attacco emicranico è inoltre spesso preceduto dai cosiddetti segni premonitori (nervosismo, irritabilità, cambi di umore, sbadigli, ritenzione urinaria…) che hanno un’origine ipotalamica.
E’ quindi il sistema nervoso centrale ad essere primariamente coinvolto nella genesi dell’emicrania. Come si integrano però centro e periferia? Centro e periferia sono due fattori interdipendenti: l’emicranico ha probabilmente una predisposizione genetica che lo rende suscettibile ai trigger provenienti dalla periferia. Il braccio efferente dell’attacco di emicrania pare essere il sistema trigemino-vascolare.
Nell’attacco emicranico entrano in gioco entrambi i sistemi ascendenti del dolore, la via neospinotalamica (diretta, rapida, responsabile della percezione del dolore acuto) ma anche la via paleospinotalamica (che presenta invece varie stazioni intermedie di relais a livello del talamo mediale e dell’insula che è a sua volta interconnessa con la corteccia anteriore, l’amigdala, l’i potalamo ed il grigio periacqueduttale) che permette una rielaborazione dell’esperienza dolorifica.
Esiste normalmente una bilancia dolore-emozione. Tale equilibrio viene perduto nelle forme di cefalea cronica: la bilancia si altera in seguito alla presenza di continui stimoli dolorosi viscerali somatici (viraggio da cefalea episodica ad alta frequenza a cefalea cronica). In questo senso la cefalea cronica può essere considerata una patologia dell’omeostasi.
Inoltre è stato dimostrato con studi di risonanza magnetica funzionale condotti proprio dal gruppo del prof. Bussone come nelle forme croniche associate ad overuse di farmaci, l’ipofunzione di alcune aree cerebrali (giro sopramarginale destro, corteccia parietale superiore ed inferiore destra) possa andare incontro a recupero dopo la sospensione del farmaco abusato, a dimostrazione del fatto che in questo caso il danno non è organico, ma soltanto funzionale.
Infine il prof. Bussone ha ricordato come l’ipotalamo abbia un ruolo anche nella cefalea a grappolo (pensiamo alla DBS nelle forme croniche) e come l’emicranico e il paziente con cefalea a grappolo reagiscano in maniera opposta al dolore, il primo con un atteggiamento remissivo, il secondo con un comportamento aggressivo. In questo senso la cefalea può essere considerata un continuum.
Prima della sessione successiva, c’è stato spazio per un breve Simposio Allergan con gli interventi della Dott.ssa Grazzi (Milano, Besta), che ha parlato del ruolo di Botox nella terapia delle emicranie cronicizzate e ha presentato i primi risultati dell’utilizzo della stessa al Besta, e del Dott. Liberini (Brescia) che ha dato una dimostrazione pratica, su di un manichino, della modalità di iniezione della tossina botulinica secondo il paradigma iniettivo dello studio PREEMPT, evidenziando le differenze tra due possibili schemi, il protocollo fisso a 31 siti e il cosiddetto “ follow the pain” – segui il dolore – in cui si possono variare le dosi superando le 155 U in base alle peculiarità del dolore del paziente.
La sessione successiva sui giovani adulti è stata moderata dal Dott. Aguggia (Asti) e dal Dott. Frediani (Milano). La Dott.ssa Rao (Brescia) ha parlato dell’emicrania nella donna in età fertile. L’emicrania ha una prevalenza del 25% nelle femmine e dell’8% nei maschi. Prima della pubertà colpisce in ugual misura i due sessi, mentre dopo la pubertà comincia a manifestarsi la differenza di genere. Il 10-20% delle donne ha un esordio dell’emicrania al menarca, più del 50% ha una forma associata al ciclo mestruale e meno del 10% ha una forma solo mestruale. L’emicrania mestruale pura (PMM) e l’emicrania correlata alle mestruazioni (MRM) rappresentano due entità cliniche ben precise che l’IHS inserisce in appendice anche nell’ultima recente versione della Classificazione Internazionale delle Cefalee. Gli attacchi mestruali sono più intensi e prolungati (durano anche più di 72 ore) e sono meno responsivi ai sintomatici provocando una maggiore disabilità rispetto ai corrispettivi non mestruali.
Le oscillazioni nei livelli di estrogeni (che aumentano il tono serotoninergico, esercitano una facilitazione glutammatergica e provocano un aumento delle endorfine e un’alterazione della tolleranza al glucosio) ed il progesterone (che modula l’ipereccitabilità neuronale), sono responsabili in gran parte della ricorrenza mestruale delle crisi di emicrania attraverso una duplice azione sul pain processing network e sull’endotelio vascolare. Altri meccanismi includono l’– aldosterone, il magnesio intracellulare, l’omeostasi piastrinica e le prostaglandine.
Ai fini della diagnosi è importantissimo il diario con la registrazione del rapporto tra attacchi di emicrania e cicli mestruali. L’intervento farmacologico si avvale di terapia acuta e terapia di profilassi. I farmaci utilizzati sono gli stessi dell’emicrania senz’aura non mestruale. In presenza di cicli regolari, è possibile proporre una miniprofilassi – relativa al solo periodo del ciclo mestruale – per la quale si possono utilizzare FANS (es. naprossene), triptani (es. frovatriptan), strategie contraccettive continue o supplementazione estrogenica.
In gravidanza l’emicrania senz’aura tende a migliorare, soprattutto se mestruale. Nel 60-70% dei casi c’è un miglioramento, nel 20% dei casi le crisi scompaiono completamente. Di solito il miglioramento si verifica già nel corso del primo trimestre. L’emicrania con aura può invece persistere se pre-esistente o addirittura esordire in gravidanza.
Diversi studi si sono focalizzati viceversa sul ruolo dell’emicrania in gravidanza: le pazienti emicraniche hanno un maggior rischio di sviluppare ipertensione arteriosa, eventi tromboembolici e pre-eclampsia.
Per quanto riguarda il post-partum e l’allattamento, si è visto che si ha una ripresa precoce degli attacchi nel 43% delle donne che non allattano.
Infine la Dott.ssa Rao ha parlato di terapia farmacologica durante la gravidanza ricordando come i FANS siano sicuri fino al terzo trimestre (nel III trimestre aumenta il rischio di chiusura prematura del dotto arterioso di Botallo). Per quanto riguarda i triptani, esistono registri per il sumatriptan e per l’eletriptan (per quest’ultimo dati ancora insufficienti) che non hanno evidenziato apparenti effetti teratogeni.
Quanto alle terapie di profilassi, il più sicuro sembra essere il propranololo (utilizzabile anche durante l’allattamento perché non passa nel latte materno), che dà ritardo di crescita intrauterino, bradicardia o ipoglicemia nel 25% dei casi. L’amitriptilina sembra invece associata ad un rischio di deformità degli arti. Pochi dati sono presenti su topiramato e gabapentin, mentre il valproato è da evitare per l’alto rischio teratogeno.
Nel corso della discussione è stato poi riportato il caso aneddotico e drammatico di una donna che aveva impiegato alte dosi di sumatriptan per o per un attacco di emicrania in prossimità del parto e che ha partorito poi un feto con multiple lesioni ischemiche cerebrali. Sulla sicurezza del farmaco nell’immediata vicinanza del parto e nel III trimestre non abbiamo dati specifici.
La lettura magistrale tenuta dal Dott. D’Andrea (Padova) ha avuto per argomento il ruolo della tirosina e del triptofano nella patogenesi dell’emicrania cronica e della cefalea di tipo tensivo cronica.
L’emicrania cronica è una forma di cefalea in cui la frequenza degli attacchi aumenta progressivamente fino a divenire quotidiana o quasi quotidiana. I criteri diagnostici sono ancora oggetto di dibattito e la non uniformità delle diverse classificazioni ha reso più difficile la stima esatta della prevalenza nella popolazione generale. Questa è comunque risultata compresa tra l’1.4 ed il 2.2%. L’emicrania cronica è dunque un’entità ad elevato impatto sociale.
La patogenesi dell’emicrania cronica è in larga parte sconosciuta. La storia naturale della malattia corrobora l’ipotesi che questa rappresenti il risultato della trasformazione della forma episodica, quando la frequenza degli attacchi aumenta nel tempo. Tale complicanza è più frequente quando sono presenti altri fattori di rischio come il sesso femminile, le comorbilità, il disagio psicologico e sociale e soprattutto l’uso eccessivo di farmaci sintomatici. È allora ragionevole ipotizzare che gli aspetti implicati nella patogenesi dell’emicrania senz’aura giochino un ruolo importante anche nella trasformazione in emicrania cronica. Diversi studi di biochimica condotti durante gli ultimi dieci anni, hanno mostrato delle alterazioni del metabolismo della tirosina in pazienti affetti da emicrania senz’aura. La tirosina è l’aminoacido precursore della catecolamine (dopamina, DA, e norepinefrina, NE) e delle amine elusive come la tiramina (TYR), l’octopamina (OCT) e la sinefrina (SYN). I due enzimi responsabili della produzione delle catecolamine e delle amine elusive sono rispettivamente la tirosina idrossilasi e la tirosina decarbossilasi. Le amine elusive hanno una struttura molecolare simile a quella delle catecolamine e sono presenti in tracce in alcune aree del SNC come l’ipotalamo, il sistema libico, il sistema exrapiramidale ed i nuclei del tronco. Il loro ruolo fisiologico è rimasto a lungo sconosciuto fino a quando una nuova classe di recettori accoppiati a proteina G, noti come recettori delle amine elusive (acronimo inglese TAARs), sono stati scoperti nei tessuti dei mammiferi. Tra i TAARs, il sottotipo 1 è il più abbondante nel SNC. Recenti studi hanno mostrato che TYR e OCT agiscono come agonisti dei recettori TAAR1 e come neuromodulatori dei recettori della DA e della NE. Un neuromodulatore è una sostanza che agisce modificando l’azione di un neurotrasmettitore (aumentandola o diminuendola) ma che da solo non è in grado di modificare l’eccitabilità post-sinaptica. Le catecolamine e le amine elusive giocano un ruolo importante nella fisiologia e nella patologia del SNC perché sono in grado di modulare molte strutture sottocorticali con specifiche funzioni, inclusa la regolazione della soglia dolorifica.
Studi precedenti hanno dimostrato che i livelli di OCT e SYN sono notevolmente più alti nel plasma e nelle piastrine degli emicranici senz’aura rispetto ai controlli ed i livelli piastrinici di DA sono aumentati mentre quelli di NE sono ridotti.
In presenza di una funzione mitocondriale danneggiata e di alti livelli di glutammato (deficit di energia ed ipereccitabilità) si verifica uno shift metabolico dalla via della idrossilazione a quella della decarbossilazione, con l’aumento delle amine elusive. Inoltre come conseguenza della ridotta funzione dell’enzima dopamina beta-idrossilasi, che converte la DA in NE, dovuta ai polimorfismi genetici, aumentano i livelli di DA e si riducono quelli di NE.
Per verificare l’ipotesi che anche nell’emicrania cronica si verifichino le stesse anomalie biochimiche dei neurotrasmettitori e dei neuromodulatori che sono state dimostrate nell’emicrania senz’aura, un gruppo di lavoro coinvolgente i Centri Cefalee di Vicenza, Milano e Asti, ha valutato i livelli plasmatici di DA, NE, TYR e OCT in 37 controlli, 73 soggetti con emicrania cronica e 13 soggetti con cefalea di tipo tensivo. Questi ultimi sono stati inseriti perché la cefalea di tipo tensivo cronica (CTTC) è una forma la cui patogenesi è ancora completamente sconosciuta.
I risultati dello studio mostrano che i livelli di DA e NE sono molto alti nei pazienti con emicrania cronica rispetto ai pazienti con CTTC e ai controlli. Questi risultati sono solo parzialmente in linea con quelli riportati per i soggetti con emicrania senz’aura, in cui la DA è aumentata mentre la NE è ridotta. Anche il profilo delle amine elusive è diverso negli emicranici cronici rispetto agli emicranici senz’aura. In questi ultimi i livelli di OCT e SYN sono elevati mentre quelli di TYR sono normali. Nell’emicrania cronica invece la TYR risulta molto aumentata e l’OCT solo lievemente aumentata. Il motivo potrebbe essere ricercato nel peggioramento del deficit energetico che sembrerebbe verificarsi con l’aumento della frequenza degli attacchi di emicrania. Questo produrrebbe un maggiore shift metabolico verso la via della decarbossilazione ed una minor conversione del primo prodotto della via (TYR) in OCT. In presenza di alti livelli di TYR si verificherebbe una down regulation dei recettori TAAR1 con un conseguente aumento delle concentrazioni di DA e NA. Al contrario non sono state trovate alterazioni del metabolismo della tirosina nella CCTC, la cui patogenesi resta dunque misteriosa.
Nell’ultima parte della sua relazione il Dott. D’Andrea ha poi parlato del possibile ruolo del metabolismo del triptofano nell’emicrania cronica. Il principale prodotto dell’idrossilazione di questo aminoacido è la serotonina (5HT), mentre la triptamina è il neuromodulatore che deriva dalla decarbossilazione. Nell’emicrania cronica e nella CTTC sono stati trovati bassi livelli di triptamina. Questo potrebbe ridurre il controllo inibitorio del circuito che modula le vie ascendenti del dolore.
Nell’ultima sessione, moderata dalla Dott.sa De Marco (Bergamo) e dal Prof. Manzoni (Parma), si è parlato di cefalea dopo i 50 anni.
Nel primo intervento la Dott.ssa Partziguian (Bergamo) ha affrontato il tema dellacefalea nel periodo della menopausa.
L’emicrania senz’aura presenta due picchi, uno nella seconda decade ed uno dopo i 50 anni. Intorno ai 40-45 anni la funzione ovarica comincia a ridursi e questo porta ad una riduzione dei livelli di estrogeni e progesterone.
Possiamo distinguere nell’ambito del climaterio diverse fasi: la pre-menopausa(esordisce intorno ai 40-45 anni e termina con la menopausa; cominciano a manifestarsi irregolarità mestruali e crescenti periodi di amenorrea), la menopausa (cessazione permanente del ciclo mestruale dovuta all’esaurimento dell’attività follicolare), la post-menopausa (periodo di vita successivo all’ultima mestruazione caratterizzato da assenza di flussi permanenti; può durare fino a 30 anni con l’allungamento della vita media), ed infine la peri-menopausa (periodo che inizia con la comparsa di segni e sintomi e si estende fino al primo anno successivo all’ultima mestruazione). I sintomi della menopausa sono rappresentati da vampate, sudorazione notturna, incontinenza urinaria, insonnia, depressione, secchezza delle mucose, irritabilità, difficoltà di concentrazione e cefalea. Nei casi di menopausa precoce chirurgica o iatrogena, questi si manifestano più frequentemente. Quanto alle possibili complicanze, queste sono rappresentate dall’osteoporosi, dall’– ipertensione (con conseguente aumento del rischio cardio-vascolare) e dai disturbi di memoria (Alzheimer).
Che relazione c’è tra emicrania ed ormoni? L’emicrania ha un picco di incidenza in età giovanile, tende a migliorare dopo la menopausa (cessazione dei flussi, bassi ma costanti livelli di estrogeni), ma di solito va peggio nella perimenopausa, quando il pattern mestruale risulta essere più irregolare e si verificano delle oscillazioni nei livelli di estrogeni. La caduta degli estrogeni sembra infatti l’elemento determinante nella comparsa degli attacchi sia in prossimità del ciclo mestruale che durante la perimenopausa.
Per quanto riguarda la terapia dell’emicrania durante la perimenopausa, tra i sintomatici trovano impiego sumatriptan, frovatriptan e naratriptan, nimesulide e naprossene. Tra le terapie di profilassi sembrano avere un ruolo venlafaxina, gabapentin, topiamato, valproato, triciclici e terapia ormonale. A proposito di quest’ultima, va detto che non c’è evidenza in letteratura che la terapia ormonale sostitutiva funzioni, pertanto questa andrebbe utilizzata soprattutto se coesistono altre indicazioni (anemia, vampate, necessità di contraccezione). Nel caso si utilizzi andrebbero preferiti la via transdermica ed i regimi combinati continui.
Nell’ultima relazione della giornata, il Dott. Colombo (Milano, San Raffaele), ha affrontato il tema della cefalea nell’anziano. Sopra i 75 anni, tale patologia colpisce circa il 55% delle donne ed il 22% degli uomini. In questa categoria di pazienti le forme secondarie sono più comuni (fino ad 1/3 dei casi di cefalea) e sono rappresentate fondamentalmente dalle cefalee a genesi infiammatoria, strutturale e dismetabolica.
Per quanto riguarda le cefalee primarie, l’emicrania, sopra i 65 anni, colpisce circa il 6% delle donne ed il 2% degli uomini (incidenza annuale) e presenta caratteristiche meno gravi che in età giovanile: gli attacchi sono meno forti e si accompagnano più raramente a sintomatologia vegetativa; anche il peggioramento con l’attività fisica è meno significativo e ci sono una minore percentuale di recidive ed una maggior riposta agli analgesici.
L’ aura emicranica può avere un esordio tardivo, ma va posta in diagnosi differenziale con l’attacco ischemico transitorio (TIA). Di solito l’aura si caratterizza per fenomeni visivi positivi e per una progressione sequenziale, si presenta con attacchi ripetuti abbastanza stereotipati, dura 20-30 minuti e nel 50% circa dei casi è seguita da cefalea. Al contrario il TIA si caratterizza per fenomeni visivi negativi, per un’insorgenza acuta e per la comparsa simultanea dei disturbi, per una durata media di meno di 15 minuti e per una meno frequente comparsa di cefalea.
Un’altra forma primaria da tenere in considerazione nel paziente anziano è la cefalea ipnica. Questa compare tipicamente dopo i 50 anni (media 60.4 anni), colpisce più le femmine dei maschi, soprattutto se affette da emicrania in età giovanile, presenta una stretta relazione con il sonno (non soltanto il sonno notturno, visto che si può presentare anche nel corso del sonnellino pomeridiano), ha una frequenza spesso elevata (1-2 attacchi a notte) e insorge tipicamente tra le 2.00 e le 4.00 del mattino, svegliando il paziente. Il dolore è di intensità lieve o media, qualitativamente oppressivo, ma può anche essere pulsante, a pugnalata o bruciante. È spesso bilaterale, ma può anche essere unilaterale come nell’emicrania. La durata è di 5-60 minuti circa. I sintomi di accompagnamento sono rarissimi. Si verifica sia in fase REM che in fase non REM e può essere correlata con la sindrome delle apnee ostruttive durante il sonno (OSAS). Dal punto di vista terapeutico curiosamente la cefalea ipnica risponde nel 75% dei casi alla caffeina (1-2 tazzine di caffè la sera prima di coricarsi). Alternative possono essere il litio (150-600 mg/die), l’indometacina (25-150 mg/die) ed il topiramato. La diagnosi deve essere fatta chiaramente solo dopo aver escluso forme secondarie.
La cefalea a grappolo può avere un esordio tardivo. In tale forma tra l’altro c’è un’inversione del rapporto maschi:femmine, essendo la forma ad esordio tardivo più frequente nelle donne.
L’ arterite temporale o arterite di Horton esordisce tipicamente intorno ai 70 anni. La cefalea è il sintomo più frequente, ma il dolore è molto aspecifico (cambia sede e qualità). Un sintomo che può essere presente in associazione alla cefalea è la claudicatio mandibolare. È nota inoltre l’associazione con la polimialgia reumatica (PMR). Dal punto di vista diagnostico possiamo ancora ritenere validi i criteri dell’American College of Rheumatology (1990): 1) età di inizio di malattia maggiore di 50 anni, 2) cefalea di nuova insorgenza, 3) anormalità dell’arteria temporale (dolore alla palpazione, ridotta pulsatilità, presenza di nodularità lungo il decorso), 4) VES >50 mm/1° ora, 5) biopsia dell’arteria temporale positiva (presenza di infiltrato infiammatorio con prevalenza di mononucleati, con o senza cellule giganti multinucleate).Un paziente è classificato come affetto da arterite di Horton se almeno 3 dei 5 criteri sono presenti. La sensibilità di questi criteri è del 93,5% e la specificità del 91,2%.
La terapia consiste nella somministrazione di steroidi (prednisone 1 mg/kg; metilprednisolone 1 g x 5 giorni, se c’è una perdita visiva acuta).
Un’altra forma secondaria da non trascurare è la cefalea causata dall’ ematoma subdurale cronico. Per diagnosticare questa forma è importante chiedere al paziente se ha avuto traumi, anche minimi, soprattutto se in TAO, e anche lontani nel tempo (fino a 3 settimane prima). Anche in questo caso le caratteristiche della cefalea non sono di grande aiuto essendo aspecifiche.
L’ emorragia subaracnoidea si caratterizza per un dolore tipo “thunderclap headache” (cefalea a rombo di tuono) e per la presenza frequente di sincope all’esordio. Il rigor non è invece molto frequente (solo nel 35-50% dei casi) e, se presente, compare comunque dopo ore. L’emorragia subaracnoidea ha un’incidenza più elevata nelle donne sopra i 70 anni, non va dunque considerata una forma tipicamente giovanile.
Circa il 60% dei casi di meningite si verifica dopo i 50 anni. Spesso è nosocomiale (attenzione in particolare alle forme da Listeria). La cefalea è diffusa, olocranica, la febbre è spesso superiore a 37.7 °C. Il rigor non c’è sempre.
La cefalea costituisce l’unico sintomo di un tumore cerebrale solo nel 10% dei casi. Può essere intermittente, si associa spesso a nausea e vomito, tipicamente va peggio al mattino e peggiora con la manovra di Valsalva. Il dolore non sempre localizza la sede del tumore. Frequentemente però i tumori in fossa cranica posteriore provocano dolore in sede occipitale, e quelli infratentoriali in sede nucale (con spasmi concomitanti). I tumori frontali invece danno cefalea a localizzazione varia. La diagnosi differenziale di questa forma secondaria va fatta con la cefalea di tipo tensivo.
Non vanno poi dimenticati, tra le cause di cefalea nell’anziano, i farmaci (in particolare i vasodilatatori o i calcio antagonisti).
Infine, altre forme da considerare potrebbero essere la cefalea in corso di glaucoma acuto, quella da esposizione a monossido di carbonio (CO), la cefalea in corso diapnee ostruttive notturne e la cefalea da ipertensione notturna.