Vogliamo continuare il discorso su come curare l’emicrania, iniziato nel gennaio 2009 con la terapia di profilassi.

L’emicrania è un disturbo biologico del cervello caratterizzato da una serie di sintomi e di episodi della durata variabile dalle 4 alle 72 ore, disabilitanti per l’intensità del dolore, per i sintomi associati gastrointestinali e per un’ipersensibilità alla luce, ai suoni e agli odori.
Riportiamo un recente articolo di ricercatori del centro cefalee dell’Università di Pittsburg (USA) che puntualizzano alcuni concetti per una corretta gestione alla terapia sintomatica e le maggiori peculiarità dei principali farmaci utilizzati nell’attacco emicranico [Curr Treat Options Neurol 2011 Feb;13(1)15-27].

Gestione alla terapia.
Nel delineare una strategia terapeutica di un’emicrania è importante che il medico riconosca la variabilità delle caratteristiche degli attacchi in termini di frequenza, intensità e durata; così come è importante saper identificare questa variabilità all’interno di ogni singolo individuo.
La maggior parte dei soggetti riferisce un assortimento di mal di testa di diverse intensità e disabilità; alcuni manifestano episodi emicranici lievi che vengono descritti con i termini di sinusite, tensione, cervicale o normale cefalea, semplificando la diagnosi e autogestendosi la terapia. Vengono elencati alcuni punti fondamentali ad un corretto trattamento sintomatico.

  • La decisione ad una terapia sintomatica richiede particolare attenzione alla frequenza della cefalea, intesa come numero di giorni di mal di testa al mese; come numero di giorni in cui l’intensità del dolore è forte e disabilitante, limitando il lavoro, la scuola e le attività socio-famigliari; come numero di giorni/mese in cui viene utilizzato il farmaco, riferendosi al numero delle dosi (quantità) e a quante volte esse vengono assunte al mese, per qualunque tipo di analgesico si tratti.
  • Una corretta gestione a queste problematiche può determinare il successo terapeutico, la scelta del farmaco più favorevole e la capacità ad ottimizzare il tipo di trattamento utilizzato, avvalendosi del paradigma “trattare presto quando è lieve, ma non troppo spesso”.
  • Una terapia sintomatica ha lo scopo di “bloccare” l’attacco di mal di testa nel più breve tempo possibile, di ridurre i sintomi che l’accompagnano quali la nausea e il vomito, il fastidio alla luce e ai suoni o agli odori. Va quindi iniziata il più precocemente possibile, quando la cefalea è ancora lieve e i sintomi che si associano non si sono ancora manifestati.
  • I soggetti che presentano un’alta frequenza di attacchi possono incorrere il rischio di un uso eccessivo di farmaci analgesici, che può perpetuare la cefalea e rendere non solo la terapia di profilassi, ma anche quella analgesica inefficaci. Questi soggetti devono “razionalizzare” il farmaco sintomatico con lo scopo di abolire i 10 giorni più disabilitanti di cefalea al mese.
  • I disturbi gastrointestinali spesso complicano un attacco emicranico al punto di rendere necessaria l’assunzione di farmaci antiemetici per agevolare l’assorbimento del farmaco analgesico utilizzato.
  • Un’emicrania al risveglio, che si aggrava rapidamente e che già in passato ha richiesto un trattamento di urgenza in Pronto Soccorso, è meglio affrontata con farmaci analgesici per via intramuscolo.
  • Per meglio gestire la variabilità delle manifestazioni emicraniche è utile avere diverse opzioni terapeutiche quali compresse per gli attacchi emicranici consuetudinari, le iniezioni per quelli al risveglio o pulsanti o più intensi, e formulazioni spray o rettali per quelli particolari.

I principali farmaci utilizzati per un attacco emicranico
L’obiettivo principale di una terapia sintomatica è quello di non avere più dolore entro 1-2 ore dall’assunzione del farmaco e di non manifestare un altro attacco entro le 24 ore successive, in assenza di particolari effetti collaterali.
Gli antinfiammatori non steroidei (FANS) e i triptani sono considerati i farmaci più efficaci nei soggetti adulti per affrontare un attacco emicranico.

  • Sono stati approvati sette triptani dalla FDA* (sumatriptan, eletriptan, naratriptan, zolmitriptan, rizatriptan, frovatriptan, almotriptan) di cui in Italia ne sono commercializzati solo sei e di cui l’Almotriptan ha avuto l’approvazione per l’emicrania nell’adolescente. Nessun triptano trova indicazione nel bambino.
    Vengono utilizzati negli attacchi severi o quando i FANS si mostrano inefficaci.
    Sono preferibili ai FANS per la loro azione sui meccanismi eziopatogenetici dell’emicrania e perché hanno pochi effetti collaterali (senso di pressione o bruciore al petto, mialgia, astenia, arrossamento, parestesie, capogiri), solitamente di lieve entità, e in particolare non sono gastrolesivi.
    Una malattia cerebrocardiovascolare ed un’ipertensione mal controllata ne controindicano l’impiego; così pure in chi assume inibitori delle monoamino-ossidasi (vecchi antidepressivi), perché possono causare una sindrome serotoninergica**; a questo proposito non vi sono evidenze scientifiche che limitino l’uso dei triptani in monoterapia o con gli antidepressivi SSRI o SNRI***.
  • I FANS, utilizzati fin dai tempi di Ippocrate, efficaci nel 60% dei casi, vengono utilizzati negli attacchi lievi-moderati.
    Ne esistono diversi tipi, ma i più efficaci per gli attacchi emicranici sono l’ibuprofene, il naprossene, l’aspirina, l’acetamolo-caffeina e il diclofenac in soluzione solubile. Un’assoluta controindicazione è rivolta ai soggetti che hanno presentato reazioni allergiche di ipersensibilità al prodotto o nel periodo preoperatorio.
    Gli effetti collaterali più frequenti sono disturbi gastrointestinali, dispepsia, bruciori addominali, occasionalmente diarrea.
    Una particolare attenzione deve essere considerata dai soggetti con importanti malattie cardiovascolari, insufficienza renale, patologie gastrointestinali, diatesi emorragica e dai soggetti che assumono una concomitante terapia anticoagulante (Warfarin). Una particolare precauzione negli anziani e nei bambini al di sotto dei 12 anni o nei soggetti con asma allergico, allergie, ipertensione. Solamente l’aspirina e il naprossene sodico non sono cardiotossici se assunti per lungo tempo.
  • Butalbital e oppioidi, entrati in commercio 50 anni fa, sono efficaci negli attacchi emicranici, ma non sono mai stati condotti studi scientificamente validati che lo comprovassero; così come non vi sono evidenze di superiorità di efficacia nei confronti dei triptani e dei FANS.
    Il Butalbital ha un effetto ansiolitico e lo si trova in associazione con altre molecole (aspirina, paracetamolo, caffeina), mettendo così in discussione la sua reale efficacia. Il rischio di provocare una dipendenza psichica e fisica è clinicamente evidente e ha portato a vietare le compresse di butalbital in quasi tutto il mondo.
    Il ruolo degli oppioidi (codeina) per l’attacco emicranico rimane ancora controverso e nonostante ciò rimangono la classe di analgesici più prescritti nella terapia d’attacco o di emergenza. Vengono associati alla trasformazione di un’emicrania episodica in cronica e possono causare una “cefalea da uso eccessivo di farmaci”, quando assunti per 8 giorni/mese, riducendo l’efficacia alla terapia di profilassi; assunti cronicamente inducono iperalgesia, aggravamento di malattie psichiatriche e importanti effetti collaterali quali sedazione, costipazione e depressione respiratoria.
    Solamente il 10-20% dei soggetti con una cefalea refrattaria ad altri trattamenti presenta un miglioramento della propria cefalea.

Raccomandazioni
Utilizzare entro la prima mezz’ora dall’inizio dei sintomi cefalalgici il farmaco analgesico consigliato, anche se gli attacchi sono episodici.
In chi soffre di frequenti episodi di emicrania (>10 giorni/mese) limitare il trattamento ai soli attacchi forti e disabilitanti per evitare il fenomeno dell’abuso farmacologico e la conseguente cronicizzazione o peggioramento della propria emicrania.
Considerare una terapia di emergenza a portata di mano.
Non allarmarsi per gli effetti collaterali che possono insorgere con l’impiego del triptano, in quanto regrediscono in poco tempo.
Non utilizzare in modo eccessivo un triptano quando si assume un antidepressivo SSRI o SNRI perché potrebbero aumentare i livelli di serotonina con il rischio di una sindrome serotoninergica.
Utilizzare con molta cautela i farmaci che contengano butalbital e oppioidi, se non in estreme evenienze, al fine di evitare una cronicizzazione della propria emicrania o una cefalea d arebound dopo la sospensione.
Evitare sempre l’autogestione terapeutica, consultando il proprio medico o specialista.

* FAD (Food and Drug Administration = Agenzia per gli Alimenti e i Medicinali): ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici.
** Sindrome serotoninergica = accumulo elevato di serotonina nei tessuti cerebrali. Per poter fare diagnosi sono necessari tre dei seguenti segni o sintomi: agitazione, diarrea, sudorazione non causata da attività fisica, febbre, alterazioni dello stato mentale, spasmi muscolari (mioclono), riflessi iperattivi (iperreflessia), brividi, tremori, mancanza di coordinamento dei movimenti. Si risolve generalmente entro 24 ore dall’interruzione della terapia antidepressiva
*** In Italia, i farmaci SSRI, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, sono Citalopram ( Seropram ), Fluvoxamina ( Fevarin ), Escitalopram ( Cipralex ), Paroxetina ( Seroxat ), Fluoxetina ( Prozac ), Sertralina ( Zoloft ); i farmaci SNRI, inibitori selettivi della ricaptazione della noradrenalina/serotonina sono: Duloxetina ( Cymbalta ), Venlafaxina ( Efexor )