L’emicrania ha un’elevata prevalenza nella popolazione generale e viene considerata tra le cefalee primarie (quelle forme in cui non è riconosciuta una causa sottostante) una forma molto invalidante per le forti ripercussioni sulla vita lavorativa-sociale-famigliare, con alti costi diretti (prestazioni mediche speccialistiche, indagini di laboratorio e diagnostiche, farmaci etc.) e indiretti (perdita di giorni lavorativi, scuola etc.). Proprio per queste motivazioni l’emicrania negli ultimi anni ha acquistato il suo giusto ruolo, dal momento che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) la riconosce tra le venti malattie più disabilitanti, collocandola al 19° posto per entrambi i sessi e al 12° per il sesso femminile.
Nonostante i progressi nella comprensione dei meccanismi fisiopatogenetici e lo sviluppo di efficaci agenti terapeutici, medici e molti soggetti continuano a non possedere le conoscenze e le competenze per gestire efficacemente l’emicrania. Così l’emicrania, malattia frequente con importante impatto sulla qualità di vita, rimane una malattia mal conosciuta e mal gestita da parte dei soggetti che ne soffrono, al punto che non riescono a distinguerla da un comune mal di testa (un italiano su due, pari al 45%), si auto curano con prodotti da banco e non specifici per l’a ttacco emicranico, non si recano da uno specialista nel settore o in centri specializzati, non riconoscono l’importanza che, con una diagnosi precoce si può tempestivamente intervenire mediante una terapia di profilassi prevenendo gli attacchi, impedendo l’uso eccessivo di farmaci analgesici e migliorando la qualità di vita; d’altro canto anche i medici non avendo sempre il tempo necessario alla raccolta della storia clinica, talora complessa e indaginosa, non sono sempre attenti a questo tipo di malattia continuando a sottodiagnosticarla e a gestirla in modo non efficace.
L’emicrania rimane così ancora oggi, una “malattia nascosta”, perché mal conosciuta e poco considerata; studi scientifici hanno paragonato l’emicrania ad un iceberg, la cui parte visibile rappresenta i casi diagnosticati (47% nelle donne e il 34% negli uomini) e quella sommersa, di dimensioni maggiori, i soggetti che non si sono mai rivolti ad un medico (53% nelle donne e il 66% degli uomini). Ne consegue che solamente il 16% dei soggetti si rivolge allo specialista ed il 40 % di loro riceve un’adeguata terapia.
Negli ultimi anni iniziative formative si sono rivolte a migliorare la qualità delle cure e la qualità di vita per i soggetti emicranici. Tuttavia poco lavoro è stato svolto per valutare se questi programmi formativi portassero un miglioramento in un periodo più a lungo termine. Inoltre vi è una scarsità di ricerche pubblicate rivolte a valutare l’influenza della formazione sulla gestione dell’emicrania, sui fattori cognitivi ed emotivi (per esempio la preoccupazione del proprio mal di testa).
A questo proposito studiosi americani hanno cercato di valutare se un programma di istruzione e di conoscenze di base (Migraine Misericordia Management Program – MMMP) rivolto prima alla formazione dei medici e a seguire a quella dei soggetti emicranici, portasse un miglioramento stabile nel tempo (Headache 2010, 50(4):600-12).
31 medici, 3 infermieri professionali partecipavano al MMMP, che verteva su come fare diagnosi di cefalea, sui benefici di una terapia sintomatica precoce, sull’efficacia di una terapia preventiva e sulla gestione non farmacologica. Una volta completato il corso i medici provvedevano a “istruire” quanto appreso a 284 soggetti con emicrania (92% femmine, età media 42 anni) reclutati dagli stessi medici; veniva fornito materiale didattico e insegnato loro come utilizzarlo, al fine di saper gestire i propri attacchi emicranici.
Venivano valutati prima (basale) del MMMP e dopo a 3, 6 e 12 mesi la frequenza dei giorni di cefalea e secondariamente utilizzando specifiche scale o questionari la disabilità (misurata mediante la scala HIT6 – Headache Impact Test), la qualità di vita (misurata mediante la scala MSQ – Migraine Specific Quality of Life), la preoccupazione del mal di testa, le visite in pronto soccorso, il grado di soddisfazione, l’auto-efficacia nella gestione del mal di testa. Circa il 46% dei soggetti riportava una riduzione del 50% della frequenza della cefalea a 12 mesi, suggerendo l’e ffetto migliorativo dell’intervento educativo a lungo termine (fig.1).
Figura 1. Numero di giorni di cefalea al mese
A distanza di 12 mesi veniva pure riportato un miglioramento nei punteggi per la disabilità e qualità di vita che era maggiore tra i soggetti che avevano manifestato più preoccupazione per il loro mal di testa al basale. La fig. 2 mostra la percentuale di soddisfazione alla cura del mal di testa.
Figura 2. Soddisfazione alla cura del mal di testa
Sono stati pure osservati miglioramenti riguardo “il preoccuparsi del mal di testa” (fig.3), dell’efficacia dell’auto-gestione.
Figura 3. Percentuale dei soggetti con elevata preoccupazione per il mal di testa
Gli autori concludono che i soggetti emicranici che hanno partecipato al programma formativo hanno riportano miglioramenti non solo della frequenza dei giorni di cefalea, ma anche degli aspetti cognitivi ed emotivi alla gestione del mal di testa, soprattutto coloro con maggiore preoccupazione per la stessa.
Commento
I risultati di questo studio ci dimostrano che per combattere e/o migliorare una malattia come l’emicrania non solo è importante una corretta diagnosi e gestione terapeutica da parte delle figure competenti, ma è soprattutto necessaria un’educazione, una formazione da parte dell’individuo che ne soffre, affinchè acquisisca quello strumento aggiunto che è la conoscenza della malattia, diventando anch’egli attore del processo
diagnostico-terapeutico.