Indice delle “Pillole dal mondo”


Un farmaco per la nausea ma anche per l’emicrania

Una recente revisione, riguardante tutti gli studi che hanno valutato l’utilizzo del Metoclopramide (Plasil) alla dose di 10 mg sia in compresse che intramuscolo, confrontato con altri farmaci antiemetici e antidolorifici negli attacchi di emicrania  accompagnata da nausea e/o vomito,  ha dimostrato come sia una scelta efficace anche nell’alleviare il dolore emicranico come singolo trattamento, senza particolari effetti collaterali.

Questo si spiega dal fatto che il Metoclopramide mette fuori campo il recettore della dopamina che entra in gioco nella fisiopatologia dell’emicrania non solo riducendo la nausea/vomito,  ma anche diminuendo l’attivazione del sistema trigeminovascolare responsabile del dolore [BMC

Neurol 2023;23:221].


Come viene percepita l’emicrania attraverso le immagini da internet

Le immagini presentate dai media in merito all’emicrania non sempre danno un messaggio preciso e realistico di come le persone percepiscono la malattia nella sua complessità, creando una discrepanza tra la realtà di come è vissuta l’emicrania nelle persone che ne soffrono e di come viene percepita dalla società. Un interessante studio ha confrontato come venivano percepite le immagini degli attacchi in una regione rurale della Germania (Rostock) confrontate con quelle di una grande area urbana (Berlino). Ai soggetti con emicrania sono state mostrate dieci immagini di attacchi di emicrania, che erano tra le immagini stock più scaricate su Internet sotto il termine di ricerca “emicrania”.

Nella regione di Rostock le immagini rappresentate da  ritratti di soggetti  anziani con emicrania venivano percepite come significativamente più realistiche e rappresentative rispetto alle immagini di soggetti più giovani rispetto a quelle confrontate con la grande metropoli; le immagini femminili erano rappresentate in ugual misura a quelle di sesso maschile [PLoS One, 2023 Agosto 18;18(8)].

Questo risultato riflette il modo in cui la società percepisce l’emicrania e sta ad indicare come i media possano influenzare in modo distorto la diagnosi portando a ritardare la gestione e  un  trattamento adeguato, in particolare nelle grandi città, dove è richiesta una maggiore performance sociale e lavorativa. Una più accurata rappresentazione dell’emicrania potrebbe portare ad una maggiore conoscenza e consapevolezza della malattia con la conseguente riduzione dello stigma e un migliore impatto socio-economico.


Gli omega-3 per migliorare l’emicrania

Gli acidi grassi omega-3 – noci, chia, semi di lino, spinaci, lattuga, broccoli, cavolo verde, soia, ceci, pesce) e  omega-6 (Semi d girasole, soia, sesamo, germe di  grano, noci, arachidi, mandorle, mais, olio girasole, olio  semi di lino, olio extravergine, olive, legumi) sono coinvolti nella regolazione del dolore e dell’infiammazione. I primi hanno un’azione antinocicettiva (riduzione del dolore) e antinfiammatoria, i secondi hanno un’azione contraria.

È stato dimostrato che un dieta più ricca di acidi grassi omega-3 è associata a una diminuzione della frequenza degli attacchi, della loro durata e  della gravità del mal di testa  in soggetti con emicrania,  in particolare ad andamento cronico. Questo risultato rafforza il ruolo nutrizionale come approccio aggiuntivo per la gestione dell’emicrania con l’intento di ridurre l’uso eccessivo dei farmaci sintomatici e i rischi ad esso associati [BMJ. 2021; 374].


Una nuova terapia di profilassi per l’emicrania

Erenumab è un nuovo farmaco recentemente approvato da AIFA come terapia di profilassi nel trattamento dell’emicrania ad andamento sia episodico – con almeno quattro giorni di mal di testa al mese – sia cronico, in soggetti che non hanno risposto a 3-4 trattamenti precedenti. Si tratta di un anticorpo monoclonale che blocca il recettore del CGRP (Calcitonin Gene Related Peptide) – un potente vasodilatatore – impedendone il rilascio e la conseguente vasodilatazione e sensitivizzazione dei neuroni trigeminali periferici e centrali, meccanismi alla base dell’insorgenza dell’attacco emicranico. Una recente rigorosa metanalisi condotta da ricercatori Cinesi selezionava 5 studi su 241 per appropriatezza metodologica, confermando l’efficacia al dosaggio di 70 mg o 140 mg al mese – in soluzione iniettabile per via sottocutanea – per una riduzione del 50 % dei giorni di mal di testa e una buona tollerabilità+. Gli autori inoltre indicavano l’assunzione della dose di 140 mg per i maggiori benefici nel ridurre più precocemente la frequenza mensile della cefalea [Medicine 2019; 98:52].
+ Si segnala che l’evento avverso più frequente è il dolore e l’arrossamento temporaneo nel sito di iniezione.


La cefalea e la COVID-19

Una delle preoccupazioni che in questi mesi di pandemia COVID-19 (COronaVIrus Disease-2019 – Malattia CoV-2 identificata a fine 2019) si è sollevata è se alcuni farmaci utilizzati per l’emicrania, quali gli inibitori del sistema Renina Angiotensina (SRA) e  l’ibuprofene potessero aumentare il rischio di peggiorare la sintomatologia dell’infezione. Questo dato nasce dal fatto che entrambi i farmaci entrano in gioco nel bloccare la conversione dell’Angiotensina I in Angiotensina II  – un ormone peptidico considerato potente vasocostrittore nel produrre l’innalzamento della pressione arteriosa –  attraverso il recettore dell’enzima convertitore dell’angiotensiva-2 (ACE2), lo stesso recettore che facilita l’ingresso  del Coronavirus (Cov-2),  ipotizzando che una “sovraespressione” di questi recettori potrebbe facilitare  un maggiore ingresso del virus,  causa di una maggiore risposta infiammatoria. In una breve comunicazione, ricercatori del dipartimento di Neurologia della Mayo Clinic (Phoenix – USA), sulla base delle attuali evidenze degli studi in letteratura, in accordo con le diverse società internazionali scientifiche di cardiologia, dell’ipertensione, in concerto con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e con l’Agenzia Europea dei Medicinali, concludono che non vi sono prove convincenti che entrambi SRA e ibuprofene facilitino o peggiorino l’infezione CoV-2 in qualsiasi tipo di paziente, compresi i soggetti con emicrania, nei quali  la prescrizione di questi farmaci riveste un ruolo nella cura, soprattutto se presente ipertensione arteriosa.  Gli autori non vedono ragione di interrompere l’assunzione dei SRA, che potrebbe aumentare il rischio cardiovascolare soprattutto in donne emicraniche ipertese, il cui rischio è dimostrato aumentato; inoltre considerato l’ampio uso di ibuprofene nei soggetti con cefalea durante la pandemia di COVID-19 consigliano l’utilizzo di paracetamolo come prima scelta prima di utilizzare altri FANS (Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei), considerata la sua migliore tollerabilità [The J of Headache and Pain 2020;21:38].


L’aspirina nel trattamento dell’emicrania

Non si prende mai in seria considerazione l’utilizzo dell’aspirina, il farmaco più antico del mondo, per la cura dell’emicrania.

Una recente revisione condotta da ricercatori americani dell’università di Atlanta,  ha analizzato   gli studi sull’impiego dell’aspirina nel trattamento acuto e di profilassi dell’emicrania. I risultati hanno evidenziato che l’assunzione di aspirina ad alte dosi (900-1300 mg) è efficace e sicura nel bloccare l’attacco; mentre dosi inferiori (81-325 mg) assunte quotidianamente possono essere efficaci nella prevenzione, con scarsi effetti collaterali.

Gli autori concludono che per il profilo favorevole e i costi bassi rispetto ad altri farmaci l’aspirina possa essere considerata una valida opzione terapeutica nella cura dell’emicrania [Am J Med 2019,  000:1-5]


Guidare con l’emicrania

Una recente revisione della letteratura, condotta da ricercatori americani,  ha analizzato gli studi che avevano indagato  le prestazioni di guida nei soggetti con emicrania.

Il dolore, i disturbi visivi (lacrimazione, offuscamento) che spesso si associano, così come nausea,  fastidio alla luce, sensazione vertiginosa o sonnolenza, disturbi cognitivi; ma anche  gli effetti del trattamento possono potenzialmente influenzare in modo negativo la capacità di guida.

Dagli studi pubblicati sull’argomento, anche se  non numerosi e con alcune limitazioni per la scarsa numerosità del campione preso in esame,  dimostrano che i sintomi che si verificano durante l’attacco emicranico impattano negativamente sulle prestazioni di guida quali una ridotta attenzione, una diminuzione dei riflessi, di coordinamento, facendo riflettere sulla necessità di mettersi alla guida durante un attacco emicranico [Headache 2020;60(1):178-189].


L’emicrania non è solo mal di testa

L’emicrania va considerata una malattia cronica con specifiche caratteristiche quali il mal di testa, il  fastidio alla luce (fotofobia), ai suoni (fonofobia) e nausea.

Va intesa come un disturbo cerebrale ciclico, caratterizzato da diverse fasi non sempre ben definite e per questo non sempre comprese da chi ne soffre, ma che vanno conosciute.

Ricercatori dell’Università di Amburgo esaminando i dati clinici, elettrofisiologici e di neuroimmagini hanno cercato di ridefinire quando inizia e quando finisce un attacco emicranico.

La fase pre-attacco o dei prodromi  incorre  fino a 48 ore prima dell’insorgenza dell’attacco stesso,  caratterizzandosi  per cambiamenti dell’umore, alterazioni del comportamento, difficoltà di concentrazione, stanchezza, sbadigli, aumento della diuresi, ritenzione di liquidi, ricerca di cibi particolari, contrattura al collo, dolori muscolari. Segue la  fase del dolore o della cefalea, della durata variabile da 4 a 72 ore, di media-forte intensità. La  fase post-attacco che segue la fase dolorosa  con  durata fino a 24 ore, si caratterizza per sintomi simili alla fase pre-attacco, in particolare stanchezza, irritabilità, fastidio alla luce, cambiamenti di umore, depressione, malessere diffuso e intolleranza al cibo.

Gli autori non prendono in considerazione la fase dell’aura che segue immediatamente la fase prodromica per 15-30 minuti in quanto si manifesta solo in un terzo dei soggetti emicranici, non è raro che l’aura sia seguita da cefalea e non necessariamente l’aura precede la cefalea, ma può associarsi o seguire la fase del dolore [Cephalalgia. 2020 Jan 13, in pubblicazione].


L’emicrania vuole dormire bene

Grazie ad un particolare strumento chiamato actigrafo, posto per 24 ore al polso del soggetto per un periodo di 42 giorni consecutivi,  per ricostruire i ritmi del sonno,  ricercatori del dipartimento di epidemiologia dell’Università di Harvard hanno valutato se la durata, la scarsa qualità o la frammentazione del sonno potessero essere un fattore favorente un attacco di emicrania nel giorno immediatamente successivo o nei giorni seguenti.

I 98 soggetti studiati con emicrania episodica (88% di sesso femminile; età media anni 35) compilavano anche un diario in cui segnalavano non solo la qualità del sonno, i risvegli.

Veniva dimostrato che non è il dormire poco (<6 ore) e una bassa qualità di sonno, ma una frammentazione (1-4 risvegli) dello stesso ad aumentare il rischio (64-74%) di un attacco emicranico nei giorni seguenti.

Gli autori concludevano che i ripetuti risvegli possono precedere l’insorgenza di emicrania potendo rappresentare un marker [Neurology 2019, dicembre, in pubblicazione].


Non sottovalutiamo la Vitamina B12 nell’emicrania

Ancora oggi la ricerca scientifica non ha ben chiarito quali siano i meccanismi che determinano l’inizio di un attacco emicranico, sebbene l’infiammazione neurogena, l’attivazione del sistematrigemino vascolare, la disfunzione endoteliale vascolare e l’aumentato rilascio di acido nitrico (NO) siano tra i meccanismi proposti.

Anche la vitamina B12 sembrerebbe coinvolta in importanti vie che sono correlate alla patogenesi dell’emicrania quali la prevenzione dell’iperomocisteinemiae di “spazzatura” diNO, cause di quell’ipereccitabilità neuronale implicata nel dolore emicranico.

Un recente studio di ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze di Theran ha  valutato i livelli serici di B12 che si mostravano diminuiti nei soggetti con emicrania rispetto a coloro senza emicrania.I soggetti con valori alti di B12 avevanouna riduzione dell’80% di probabilità a presentare emicraniarispetto ai soggetti con valori più alti di B12[Headache 2019, 30 agosto, in pubblicazione].


L’impatto del lavoro a turni in chi soffre di emicrania

 Numerosi sono i fattori che possono portare alla cronicizzazione di una forma di emicrania episodica (obesità, depressione, uso eccessivo di farmaci per bloccare l’attacco, eventi di vita stressanti) e tra questi anche un disturbo del sonno, soprattutto se irregolare, con cicli del sonno atipici e con una scarsa qualità dello stesso.

Ricercatori del Centro Cefalee dell’Università di Toronto (Canada) in base alla presenza di emicraniacronicain pazienti che avevano un lavoro a turni-nonostante la gestione ottimale della loro cefalea e di una buona aderenza alla terapia -hanno fatto una revisione della letteratura per capirequale fosse la relazione tra turni di lavoro e la cronicizzazione dell’emicrania.

Nonostante la scarsa letteratura, gli studi più recenti suggerivano che il lavoro a turni potesseessere un fattore di rischio per la disabilità correlata all’emicrania e  per un peggioramento del mal di testaassociato aun disturbo del sonno,dopo l’inizio del lavoro a turni notturni.Il passare a turni di lavoro diurni migliorava l’andamento del mal di testa;  dopo aver eliminato completamente i turni notturni e aver mantenuto una buona routine del sonno,  l’emicrania cronica si ripristinava a formaepisodica,Gli autori concludevano sull’importanza diuna storia dettagliata del sonno nei soggetti con emicraniaed in particolare delle condizioni sul posto di lavoro [Headache 2019, 30 agosto, in pubblicazione].


La vita con l’emicrania

 L’emicrania ha importanti effetti in diversi settori della vita con un peso personale e sociale tale da influenzare le dinamiche interpersonali, la salute, il benessere psicologicoe la stabilità finanziaria dell’intera famiglia,in mododiverso se si tratta di una forma episodica o cronica (cefalea presente per più di 15 giorni al mese per più di tre mesi).

Ricercatori americani hanno intervistato 19891 soggetti con emicrania per valutare l’impatto sulle relazioni famigliari, di carriera, di salute ed economiche. Il 91,4% presentava una forma episodica e l’8,6% una forma cronica. Il 16,8% degli intervistati non aveva alcuna relazione sentimentale; il 17,8%,  che  avevauna relazione ma non viveva  insiemeal partner  riferivache il mal di testa aveva contribuito a problemi di relazione. Tra coloro che vivevanoinsieme  il 3,2% riferivadi aver scelto di non avere figli, di aver ritardato di averlio di avere meno figli a causa dell’emicrania (emicrania episodica2.6 %; emicrania cronica9,5%). Delle persone che hanno risposto alle domande sulla carriera /situazione economica, il 32,7% ha indicato che il mal di testa ha influenzato negativamente più di un’area di carriera (emicrania episodica30,3%; emicrania cronica58,4%);  il 32,1% esprimeva  preoccupazione per la sicurezza finanziaria a lungo termine a causa dell’emicrania (emicrania episodica29,7%; emicrania cronica57,4%). Non vi erano differenze tra i due sessi.
Gli autori confermavano quanto già emerso in studi precedenti  che l’emicrania può influire negativamente su molti aspetti importanti della vita, inclusi rapporti coniugali, genitoriali, sentimentali e familiari, di carriera, economici e  salute in generale. Il peso riportato era costantemente maggiore tra i soggetticon emicrania cronica che tra coloro con emicrania episodica[Headache 2019; 59(8):1286-1299].


La cefalea ama il sonno

Un recente report di ricercatori spagnoli ha evidenziato come una cattiva qualità del riposo notturno  possa facilitarne  la comparsa di cefalea, sia che si tratti di emicrania che di tipo tensivo. Parrebbe che il 26-72% dei soggetti identifica in un disturbo del sonno il principale fattore scatenante un attacco di mal di testa; non solo, ma basterebbe la mancanza di sonno per  due soli giorni consecutivi a favorirne il rischio di insorgenza.  La difficoltà ad addormentarsi, un sonno frammentato, un risveglio precoce sono in relazione con un’aumentata frequenza ed intensità degli attacchi creando un circolo vizioso che può portare non solo alla cronicizzazione della cefalea, ma a stanchezza durante le ore diurne, difficoltà ad affrontare gli  impegni, responsabili a loro volta  di  uno stress maggiore e di comparsa di ansia e depressione, a loro volta fattori anch’essi responsabili soprattutto della comparsa di emicrania. Riposo,  sospensione dell’attività di lavoro-studio, anche per brevi periodi, tecniche di rilassamento e di meditazione, agopuntura, dovrebbero far parte di una programma terapeutico non solo ti tipo farmacologico per far dormire la cefalea.

[Ther Adv Neurol Disord 2018,11:1-6]


Combattere l’emicrania in gravidanza

Gli attacchi di emicrania in gravidanza comportano un importante problema dal momento che il loro trattamento rappresenta un rischio per la salute del feto.

Per la mancanza di linee guida che possano essere di aiuto nella pratica clinica alla gestione terapeutica dell’emicrania durante la gravidanza, ricercatori del Centro Cefalee dell’Albert Einstein College di New York sono andati a esaminare quali farmaci venivano prescritti per un attacco emicranico. Il metaclopramide (Plasil) e il paracetamolo erano i farmaci più comunemente prescritti, confermandoli i più sicuri rispetto ad altri analgesici; mentre i triptani, farmaci specifici per bloccare l’attacco con basso rischio teratogeno, erano i meno utilizzati.[Headache 2018, Nov 7, in pubblicazione]


Il vino rosso non fa bene all’emicrania

Ricercatori olandesi dell’Università di Leiden e hanno condotto uno studio su 2197 soggetti con emicrania per valutare quanto il consumo di alcolici fosse un potenziale fattore scatenante. Il vino rosso veniva riconosciuto il trigger più frequente tra le bevande alcoliche nel 77,7 % dei partecipanti. L’attacco emicranico si manifestava rapidamente, in meno di tre ore dall’assunzione di vino e entro 10 ore per altri tipi di bevande alcoliche. Tuttavia non sempre l’attacco si presentava con l’assunzione di vino rosso (solamente nell’8%) o alla singola assunzione, facendo ritenere

che anche altri fattori sommati all’alcol, quali lo stress, un pasto saltato, carenza di sonno, disidratazione possono entrare in gioco nello scatenamento di un attacco emicranico.

[Eur J Neurol 2018, Dic 18, in pubblicazione]


L’emicrania ha bisogno di acqua

Bere poco non fa bene all’emicrania.
La cefalea attribuita ad disidratazione non è menzionata dalla Classificazione Internazionale delle Cefalee, né in libri che trattano di cefalea; tuttavia uno studio condotto dal Centro Cefalee di Londra ha dimostrato che l’assunzione insufficiente di acqua può essere un fattore scatenante un attacco di emicrania; la cefalea si risolverebbe dopo 30 minuti dall’assunzione di liquidi [Headache 2004;44(1):79; Headache 2005;45(6):757].
Purtroppo la ricerca in questo ambito non è andata avanti, ma è risaputo, come osservato da articoli dedicati al benessere e alla salute, che bere abbondante acqua contenente sali minerali all’inizio di un attacco di emicrania, può aiutare a risolvere l’attacco.
Non si dimentichi che la disidratazione può portare ad una carenza di Magnesio che può favorire l’insorgenza di emicrania.


L’emicrania è tra le prime cause di disabilità al mondo

Il Global Burden Disease (GBD), sistema di misurazione della salute, ha recentemente rivalutato la disabilità causata dall’emicrania calcolata in base agli anni vissuti con disabilità.
Se l’emicrania nel 2000 veniva classificata al 19° posto tra le malattie più disabilitanti al mondo, al settimo posto nel 2010, al sesto nel 2013, raggiungeva il terzo posto nel 2015 .
Ad un recente aggiornamento (2016) il GBD stima un ulteriore peggioramento, collocando l’emicrania al secondo posto in quanto responsabile per il 5,6% di anni persi con disabilità, dopo il dolore alla schiena (7,2%) e rappresentando così una tra le cause principali e più importanti di disabilità al mondo in soggetti di età compresa tra i 14 e i 49 anni, di entrambi i sessi, fascia di età anni in cui è richiesta più presenza negli studi, maggiore produttività nel lavoro e impegno nella famiglia. Inoltre non è da trascurare come una tale disabilità contribuisca ad un gravoso peso economico-sociale.
Ora i politici della salute sanitaria se ne prenderanno nota?
[The Journal of Headache and Pain 2018;19:17].


Eccessiva sonnolenza diurna e cefalea

L’eccessiva sonnolenza durante il giorno è un sintomo comune nella popolazione generale, con una prevalenza tra il 10 e il 20%. Può essere associata ad un disturbo del sonno, ma anche a diverse patologie che sono causa di cefalea.
Studiosi norvegesi dell’Università di Oslo, si sono posti l’obiettivo di comprendere la presenza di cefalea cronica (>15 giorni al mese, da almeno 3 mesi o 180 giorni/anno) associata ad una eccessiva sonnolenza diurna.
I risultati hanno evidenziato che la sonnolenza diurna (SD) si associava a cefalea post-traumatica/cervicogenica o attribuita a sinusite cronica rispettivamente nel 21% e 26%, maggiore negli uomini rispetto alle donne, con concomitante emicrania rispettivamente nel 24% e 35% dei casi. Inoltre nei soggetti la cefalea cronica per uso eccessivo di farmaci analgesici non veniva associata ad SD [The J of Headache and Pain 2017; 18:85].


L’utilizzo dei triptani in gravidanza

Nonostante in gravidanza l’emicrania tenda a migliorare spontaneamente se non a regredire, in una discreta percentuale tende a persistere o a peggiorare; addirittura può esordire per la prima volta con la gravidanza. Tra i farmaci analgesici il paracetamolo viene consigliato come il più sicuro per gli attacchi di intensità lieve-media; ma dal momento che i triptani sono considerati di prima scelta per bloccare attacchi più forti, ricercatori tedeschi dell’Università di Berlino hanno valutato la sicurezza di questa categoria di farmaci sul feto. Comparando tre gruppi di donne in gravidanza un primo con emicrania che assumevano un triptano, un secondo con emicrania senza assunzione di triptano e un terzo senza emicrania, non riscontravano differenze riguardo la comparsa di anomalie congenite fetali, l’aborto spontaneo, il parto pretermine e la preclampsia.
I risultati dello studio supportano l’evidenza che i triptani, in particolare il sumatriptan (il meglio studiato), non sono teratogeni, né hanno particolari effetti sul decorso della gravidanza, potendo essere considerati un’opzione accettabile, quando necessaria una terapia sintomatica per attacchi forti. [Cephalalgia 2017; Epub ahead of print].


I disturbi visivi nell’emicrania

Disturbi visivi nei soggetti emicranici, quali l’aura visiva, sono tipicamente episodici e gravano sulla cefalea o altri sintomi di accompagnamento (fotofobia, nausea, etc). Tuttavia non sempre si tiene conto che in alcuni soggetti il disturbo visivo è dominante in relazione alla frequenza degli attacchi (stato di aura emicranica: 2 attacchi al giorno per almeno 5 giorni), alla durata (aura persistente e altri fenomeni visivi positivi persistenti) o alla complessità del disturbo visivo stesso (effetto neve), configurando così un’emicrania con “aura non tipica” che va distinta dall’aura tipica di più breve durata (5 ai 60 minuti), ma inquadrata nella stessa categoria nosografica dell’emicrania.
Una recente revisione condotta da un gruppo di ricercatori svizzeri, tedeschi, italiani e inglesi hanno descritto in dettaglio le caratteristiche cliniche di queste sindromi rimarcando che il termine “emicrania con aura prolungata” potrebbe fare da ponte con la forma di con aura tipica e aura persistente, permettendo non solo un migliore inquadramento diagnostico ma anche una più mirata gestione terapeutica [Headache 2017; 57(1):1-16].


Il ruolo degli estrogeni nell’emicrania

Il 60% delle donne con emicrania riferisce un’associazione tra il ciclo mestruale e gli attacchi emicranici, descritti come più severi, duraturi, meno responsivi al trattamento e così più disabilitanti.
La responsabilità è il calo degli estrogeni durante il periodo premestruale.
Ricercatori americani dell’Università di Denver si sono posti l’obiettivo di misurare i livelli di estrogeni urinari nel periodo periovulatorio e nella fase luteale in 144 donne emicraniche confrontate con 223 donne non emicraniche. I risultati hanno dimostrato nelle donne emicraniche una significativa differenza nella diminuzione delle concentrazioni di estrogeni, soprattutto nella fase luteale o perimestruale, più elevata e rapida, rappresentando così un marker di una maggiore vulnerabilità neuroendocrina [Neurology 2016;87:49].

Un altro interessante studio ha valutato in donne emicraniche la soglia al dolore mediante la misurazione di uno stimolo elettrico nocicettivo nella settimana di sospensione e nella terza settimana di assunzione della pillola estro-progestinica (fase luteale). La soglia del riflesso nocicettivo si mostrava nettamente inferiore nella settimana di sospensione della pillola rispetto alla terza settimana di assunzione, supportando l’ipotesi di una maggiore sensibilità agli stimoli nocicettivi dovuta al calo delle concentrazioni degli estrogeni nelle donne con emicrania [J Head Pain 2016;17(1):70].
Questi due studi confermano l’importante ruolo degli estrogeni nel modulare la soglia al dolore, diminuita nella donna emicranica.


Non sottovalutiamo la melatonina come profilassi nelle cefalee

Ricercatori del dipartimento di Neurologia dell’Università di Atene hanno condotto uno studio pilota per valutare l’efficacia della melatonina nella profilassi delle cefalee primarie, emicrania e cefalea di tipo tensivo.
Con la somministrazione di 4 mg di melatonina mezz’ora prima di coricarsi, per un periodo di sei mesi, osservavano una diminuzione statisticamente significativa della frequenza, della durata degli attacchi emicranici o di tipo tensivo, con un miglioramento della qualità di vita giornaliera e del tono dell’umore .
Nonostante questo studio abbia delle limitazioni per la mancanza di un gruppo di confronto senza melatonina e per l’esiguità del campione studiato, si può supportare l’ipotesi che questo ormone abbia un ruolo importante nella genesi della cefalea primaria, incoraggiando il suo impiego come valida alternativa di profilassi nella cura delle cefalee [ Functional Neurology 2016;31(1):33-37].


Stato emicranico episodico: un nuovo sottotipo di emicrania

Con il termine di stato emicranico viene intesa una rara complicanza dell’emicrania con e senz’aura, caratterizzato da un attacco della durata superiore alle 72 ore, di intensità severa e fortemente disabilitante; presente nel 20% dei soggetti, è stato ancora poco indagato.
Ricercatori americani del dipartimento di Neurologia del’Università Mayo Clinic di Rochester (Minnesota) ne hanno studiato le caratteristiche cliniche, simili a quelle degli attacchi episodici, ma con dolore più intenso accompagnato da nausea e vomito (in minor percentuale), da una maggiore sensibilità alla luce e meno ai suoni, della durata di sette giorni consecutivi, con una frequenza media di due attacchi al mese. Come principali fattori scatenanti venivano riportati lo stress, stati d’ansia e depressivi, la mancanza di sonno, il ciclo mestruale, ma non l’uso eccessivo di farmaci. Il dato peculiare era che una discreta percentuale di soggetti sviluppava dopo circa otto anni dal primo episodio un’emicrania cronica (cefalea presente per più di 15 giorni al mese per più di tre mesi).
Gli autori concludevano che lo stato emicranico episodico rappresenta un nuovo sottotipo di emicrania, con le stesse caratteristiche cliniche di un attacco episodico, con la tendenza a trasformarsi nel tempo in un’emicrania cronica [ Cephalalgia. 2017 Jan 1: Epub ahead of print].


Differenze di genere in chi soffre di emicrania

Nonostante la prevalenza dell’emicrania nella donna sia due-tre volte maggiore rispetto all’uomo, in entrambi i sessi la forma senz’aura è più frequente rispetto a quella con aura, ma con caratteristiche cliniche differenti nelle donne per attacchi emicranici di più lunga durata, più frequenti, con sintomi associati più severi (nausea, vomito, fastidio suoni e luce) e quindi più disabilitanti, con un periodo di recupero dagli stessi più lungo.
Malattie croniche quali asma, sindrome ansiosa, depressione, altre condizioni di dolore cronico (per esempio fibromialgia), si associano all’emicrania in egual proporzione in entrambi i sessi, determinando un’uguale disabilità. Mentre nelle donne la forma con aura rappresenta un fattore di rischio per malattie cerebro-cardiovascolari, il dato non è confrontabile con il sesso maschile per l’esiguità di studi clinici, nonostante questo rischio sia stato stimato sia inferiore. Così come si hanno forti evidenze delle implicazioni ormonali nelle donne, in quanto importante fattore di rischio nel favorire non solo l’insorgenza della malattia emicrania, ma anche nel modulare le differenti caratteristiche cliniche, determinando la rilevante differenza di genere.
Riguardo al trattamento le donne fanno più consumo di farmaci sintomatici e di profilassi, nonostante le strategie terapeutiche siano le stesse.
Se l’emicrania è una malattia riconosciuta e studiata nella donna, non lo è ancora sufficientemente nell’uomo [ Lance Neurol 2016;16(1):76-87].


I fattori che predispongono alla ricaduta di un’emicrania cronica dopo disintossicazione

È noto che l’evoluzione negativa dell’emicrania, è la sua cronicizzazione, caratterizzata da frequenti attacchi di cefalea, presente per più di 15 giorni al mese per più di tre mesi; è stata calcolata una prevalenza nella popolazione generale tra l’1,4 e il 4%.
Diversi fattori entrano in gioco nella progressione verso una forma cronica quali disturbi metabolici o endocrini, una predisposizione genetica, particolari stili di vita ma soprattutto l’uso eccessivo di analgesici. A questo proposito le linee guida Europee sul trattamento della cefalea da uso eccessivo di farmaci indicano la sospensione del farmaco utilizzato, una profilassi individualizzata e trattamenti complementari con specifiche raccomandazioni per prevenire la ricaduta (per esempio, pasti regolari, attività fisica per 20-30 minuti al giorno).
Un gruppo di ricercatori italiani dell’Istituto di Ricerche Besta di Milano osservava che in 177 soggetti con emicrania cronica associata all’uso eccessivo di analgesici, sottoposti a disintossicazione con steroide come trattamento per la sospensione del farmaco assunto in eccesso, una discreta percentuale (33,9%) manifestava una ricaduta dell’emicrania cronica e che il 21,5% veniva sottoposto ad una seconda disintossicazione. Si ponevano così l’obiettivo di indagare quali fossero i fattori che predisponevano alla ricaduta. Venivano individuati una storia di precedenti e recenti disintossicazioni del farmaco, l’accesso in Pronto Soccorso per cefalea dopo le dimissioni dalla disintossicazione, elevati punteggi alle scale per la depressione e la ricomparsa di un’elevata frequenza di attacchi.
Gli autori concludevano suggerendo una gestione più attenta mediante visite di controllo più frequenti per migliorare il controllo di questi fattori [ Headache 2017; 57(1):60-70].


L’impatto di internet e del cellulare negli adolescenti

Internet e la telefonia mobile hanno rivoluzionato la comunicazione tra gli adolescenti tale da creare una vera e propria dipendenza nell’uso eccessivo di queste nuove tecnologie.
Una recente indagine italiana, condotta dal Dipartimento di Psicologia Clinica dell’Università di Roma su 1004 studenti di età compresa tra i 10-16 anni, dimostrava una prevalenza di emicrania nel 28% e di cefalea di tipo tensivo nel 10,5%; l’abuso di internet riportato nel 14,9% o del cellulare nel 26% o di entrambi nel 19,5% dei soggetti, anche nelle ore notturne, si correlava ad emicrania rispettivamente nel 14%, 22% e 23% e a cefalea di tipo tensivo rispettivamente nel 18%, 35% e 16%, senza una significativa prevalenza di un tipo rispetto all’altro. Inoltre le femmine manifestavano emicrania in misura maggiore rispetto ai coetanei di sesso maschile precedenti [ Headache 2016;56(7):1161-1170].
Il presente studio confermava come l’abuso di queste tecnologie non solo si associava a cefalea ma anche ad altri sintomi somatici quali dolori muscolari, mal di schiena, stanchezza, disturbo del sonno, della memoria, acufeni, vertigini, come riportato in studi precedenti.


Gli effetti collaterali inusuali della Tossina botulinica nel trattamento dell’emicrania cronica

Non preoccupiamoci se dopo un trattamento di Onabotulinumtossina A (Botox) si possono manifestare effetti indesiderati “strani”.
Ricercatori dell’Università di Napoli anno riportato un particolare caso di un uomo di 55 che, dopo due settimane dall’infiltrazione di Botox per emicrania cronica, manifestava due protuberanze a livello di entrambi i muscoli frontali sopraccigliari che definivano come “segno delle corna di montone”, e che regrediva dopo una due dosi supplementari del farmaco a distanza di due settimane nel [ Headache May 2016].
Negli ultimi anni in letteratura sono stati riportati altri casi con effetti collaterali inusuali riguardanti l’espressività del volto quali il “segno di Mefisto” [ Yonsei Med J. 2013] o il “sopracciglio di Spock” , “volto da burlone”, “sguardo sinistro o interrogativo” [ BotulinumToxin in Aesthetic Medicine. Heidelberg Berlin:Springer-Verlag 2007]


Neurostimolazione non invasiva per la cura dell’emicrania

In una recente pubblicazione ricercatori belgi, in collaborazione con colleghi dell’Università di Palermo hanno messo in evidenza come la neurostimolazione sottocutanea sia un promettente metodo per il trattamento dell’emicrania cronica, quando si instaura una farmacoresitenza alla terapia sia di profilassi che sintomatica. Gli autori, attraverso una revisione degli studi finora condotti, dimostrano come la neurostimolazione del nervo occipitale (lievi impulsi elettrici del nervo occipitale mediante elettrodi situati al disotto della cute in prossimità della nuca) e la neurostimolazione trasncutanea sopraorbitaria (dispositivo elettronico simile ad un diadema chiamato Cephaly, capace di generare impulsi elettrici sulle terminazioni trigeminali) possono rappresentare un’incoraggiante opzione di supporto alla profilassi per riduzione della frequenza e dell’intensità degli attacchi [ Cephalalgia 2016, Mar 29].
Inoltre si segnala che il NICE (National Institute of Health and Care Excellence), in base ai risultati di cinque studi clinici, ha recentemente pubblicato un documento in cui afferma che la neurostimolazione del nervo vago mediante l’elettrostimolatore “gammaCore” si è dimostrata efficace in un numero elevato di soggetti per il trattamento acuto e di prevenzione dell’emicrania, ma anche della cefalea a grappolo, in assenza di effetti collaterali gravi [ ElectroCore LLC, Azienda Farmaceutica Bioelettrica, New Jersey 1, aprile 2016].


Possiamo utilizzare la Melatonina nella profilassi dell’emicrania?

Un recente studio condotto da ricercatori dell’Università di San Paolo (Brasile) ha comparato, per un periodo di tre mesi, l’efficacia della melatonina al dosaggio di 3 mg, dell’Amitriptilina 25 mg verso placebo nella profilassi dell’emicrania senz’aura, in soggetti che presentavano 2-8 attacchi di cefalea al mese.
La Melatonina riduceva significativamente la frequenza degli attacchi rispetto al placebo, ma non rispetto all’Amitriptilina (antidepressivo triciclico con ampia azione farmacologica anche in soggetti non depressi), la quale risultava più efficace ma meno tollerata per la comparsa frequente di effetti indesiderati (sonnolenza, riduzione della pressione arteriosa, vertigini, stipsi, secchezza delle fauci).
La Melatonina potrebbe essere considerata un’alternativa per la profilassi dell’emicrania per quei pazienti che non tollerano altri farmaci [ J Neurol Neurosurg Psychiatry, maggio 2016].


L’emicrania profuma?

Non c’è da stupirsi se durante un attacco di emicrania con o senz’aura si possono percepire odori che non sono presenti nell’ambiente quali puzza di bruciato, di zolfo, di fumo, di gas, di caffè, di metallo, ma anche di gelsomino, di melone, di banana o di arancia. Si tratterebbe di allucinazioni olfattive che vengono riferite nel 3,9% dei soggetti emicranici. da non confondere con l’osmofobia (fastidio, ipersensibilità agli odori acri o ai profumi), che accompagna un attacco emicranico.

Sebbene questo fenomeno sia stato descritto in precedenti studi, non ne erano mai state descritte le caratteristiche cliniche. Ricercatori italiani del dipartimento di neurologia di Venezia e Padova in collaborazione con colleghi americani dell’UCLA (Univerità della California, Los Angeles) ne hanno così definito un’insorgenza improvvisa o graduale, che precede l’attacco, simile all’aura emicranica, con una durata variabile dai 3 ai 10 minuti oppure persistendo durante la fase del dolore (2-24 ore) [ Cephalalgia 2016, in pubblicazione].


Gli effetti dell’agopuntura sulla connettività cerebrale nell’emicrania

Per comprendere meglio i risultati dell’articolo, bisogna premettere che il cervello è costituito da una complessa rete di circuiti o nodi neuronali, indicati con il termine di networks. Studi sempre più avanzati di Risonanza Magnetica funzionale cerebrale hanno evidenziato che nel cervello si hanno tre importanti networks: il default mode network(DMN) si attiva durante le ore di riposo (resting state), quando non si fa alcun sforzo cognitivo (immaginare il futuro, recuperare i ricordi della propria vita, sognare ad occhi aperti, riflettere sui propri stati mentali, provare emozioni anche negative in relazione a situazioni sociali, ect); la sua attività è modulata (inibita o diminuita) dal central executive network (CEN) che si attiva durante il ragionamento, i processi cognitivi, la pianificazione, la memoria di lavoro, o i problem solving; infine il salience network (SN) si attiva per mettere in atto schemi di reazione, che diventeranno nel corso del tempo stili di comportamenti, convinzioni. Queste principali reti neuronali, connettendo fisiologicamente le diverse aree cerebrali, coordinano l’elaborazione mentale ed emotiva di tutte le informazioni affettive, emozionali, ambientali, sensoriali ed anche quelle legate al dolore, al fine di garantire una risposta comportamentale adeguata per fronteggiarle.

È stato riscontrato che nel cervello emicranico si verifica una ridotta attività del network fronto-parietale destro (associato al CEN) come risultato dei ripetuti attacchi dolorosi, con compromissione della connettività funzionale del “resting state o stato di riposo”, causando così una maggiore percezione ed un minore controllo cognitivo del dolore, ma anche una diminuita risposta adattativa al dolore stesso.

Studiosi dell’Università di Medicina di Chengdu (China) in collaborazione con quella di Harvard (Massachussets – USA), hanno dimostrato che l’agopuntura può ripristinare la connettività funzionale del network fronto-parietale destro, potenziando il processo cognitivo-adattativo al dolore e rappresentando così un valido trattamento per la gestione degli attacchi emicranici [ Cephalagia aprile 2016, in pubblicazione].

Si segnala che, come l’agopuntura, anche la meditazione o le terapie cognitive-comportamentali o di rilassamento (training autogeno, Biofeedback, Rilassamento progressivo d Jacobson) possono migliorare la connettività cerebrale di questi networks nella modulazione del dolore, rappresentando valide alternative al trattamento farmacologico.


Inquinamento atmosferico e cefalea

Un recente studio di popolazione condotto dall’Università di Soroka (Israele) ha dimostrato che elevati valori di diossido di azoto (NO 2 – agente considerato inquinante presente nello smog e derivante dall’ossidazione del monossido sottoforma di piccole particelle in relazione al riscaldamento domestico, traffico veicolante, industrie), e delle variazioni di temperatura (anche di soli cinque gradi) si associavano ad un elevato rischio di insorgenza di cefalea, con conseguente incremento di accessi in PS. Una risposta infiammatoria sistemica, una disfunzione endoteliale e pro-coagulante prodotta dalle delle sostante inquinanti sono stati considerati come meccanismi che sottendono la fisiopatologia di un attacco emicranico, spiegando l’aumentato rischio di cefalea durante l’inquinamento atmosferico, così come di malattie polmonari o vascolari.

Gli effetti delle variazioni atmosferiche erano particolarmente evidenti durante le stagioni fredde; mentre quelli del NO 2 nei soggetti meno giovani, al disopra dei quarant’anni, e soprattutto nelle donne.

Ridurre l’esposizione agli agenti inquinanti può essere una modalità terapeutica per quei soggetti che soffrono di una cefalea primaria molto severa [ Cephalagia 2015, 35(112):1085-1091].


L’asma, fattore di rischio per emicrania cronica

L’emicrania e l’asma sono condizioni prevalenti nella popolazione generale, rispettivamente del 12% e 7,5%; ed è stato dimostrato che l’asma è prevalente nei soggetti emicranici con alta frequenza di attacchi emicranici; ma non è mai stato stabilito un rapporto di rischio che stabilisse una stretta associazione tra le due malattie.

Ricercatori dell’Università di Medicina di Cincinnati (Ohio – USA) selezionavano 4446 soggetti con attacchi di emicrania episodici o inferiori ai quindici giorni al mese, dei quali il 17% soffriva di asma, con l’obiettivo di verificare se l’asma rappresentasse un importante fattore di rischio di cronicizzazione di emicrania. Tutti i soggetti venivano sottoposti ad uno specifico questionario al momento dell’arruolamento e ripetuto dopo un anno riguardante la durata e la frequenza della cefalea e la severità dei sintomi respiratori.

Il 2,9% dell’intero campione sviluppava un’emicrania cronica di nuova insorgenza (cefalea presente > 15 giorni/mese); questo gruppo era rappresentato dal 5,4% dei soggetti con asma e dal 2,5% dei soggetti senza asma, indicando che i soggetti emicranici con asma presentavano il doppio di probabilità di trasformazione di una’emicrania episodica in forma cronica rispetto a coloro in cui l’asma non era presente. Il rischio aumentava in modo statisticamente significativo con la gravità dei sintomi asmatiformi (i soggetti con sintomi gravi avevano una probabilità tre volte più elevata di sviluppare emicrania cronica), ipotizzando un ruolo causale dei sintomi respiratori.

Gli autori, sull’ipotesi che il legame tra le due malattie possa essere l’infiammazione e l’attivazione della muscolatura liscia nei vasi sanguigni e nelle vie respiratorie, suggerivano che il trattamento con farmaci antinfiammatori dell’asma possa avere un effetto protettivo anche sul peggioramento dell’emicrania, suggerendo l’utilizzo all’esordio dei sintomi asmatifomi [ Headache ottobre 2015, in corso di pubblicazione].


Emicrania e mal di pancia

Il termine “emicrania addominale”, coniato nel 1922, definisce un’esperienza di dolore addominale in assenza di cefalea, spesso confusa con altri disturbi gastro-intestinali, la quale non viene adeguatamente inquadrata nell’ambito di un’emicrania. Si osserva nei bambini (il 4% della popolazione pediatrica), tra i cinque e i sette anni, i quali per la maggior parte svilupperanno in età adulta una vera e propria emicrania, rappresentandone un precursore. La diagnosi si basa su precisi criteri non solo espressi dalla Classificazione Internazionale delle Cefalee (3° ed.), ma anche dai Criteri Roma III stabiliti da una commissione internazionale per definire la diagnosi e la gestione dei disordini funzionali gastrointestinali con consenso pediatrico.

Si caratterizza per attacchi ricorrenti di intenso dolore addominale periombelicale, che interferiscono con le nomali attività quotidiane, della durata variabile da uno a settantadue ore, associato almeno a due dei seguenti sintomi: nausea e vomito, anoressia, pallore al volto, fastidio alla luce e cefalea almeno in alcuni episodi; assenza di una malattia infiammatoria, metabolica o neoplastica che giustifichino i sintomi.

Una volta stabilita la diagnosi, la gestione si basa sull’evitare una serie di fattori scatenanti quali esposizione a luci tremolanti, poco sonno, viaggi, digiuno prolungato ed emozioni intense sia in relazione alla vita scolastica che famigliare; il trattamento sintomatico e di profilassi sono sovrapponibili a quelli dell’emicrania dell’adulto, con dosaggi per l’età pediatrica, da prendere in considerazione quando la frequenza degli attacchi è tale da interferire con le attività scolastiche.

Deve essere considerata anche in età adulta, come segnalato dai pochi casi descritti in letteratura.

Questi i dati espressi da una revisione condotta da un gruppo di ricercatori australiani dell’Università di Medicina di New Castle [ Cephalalgia 17 Nov 2015, in corso di pubblicazione].


Come sognano gli emicranici

E’ noto che i soggetti emicranici hanno un rapporto conflittuale con il sonno per una serie di motivi: o per ripetuti risvegli causati da stato d’ansia e depressione (frequenti condizioni nell’emicrania); o perché un attacco può esordire nel sonno risvegliando il soggetto e determinando un sonno poco riposatore condizionante le attività lavorative/famigliari del giorno dopo; o perche l’emicrania si può associare alla sindrome delle gambe senza riposo, una specie di smania alle gambe durante le ore notturne. Ma non era noto che gli emicranici possono fare sogni più terrifici rispetto ai non emicranici, come recentemente dimostrato da ricercatori italiani del Centro Cefalee dell’Ospedale Universitario Sacco di Milano. Infatti spesso sognano di cadere da un aereo, da un ascensore, nel vuoto, o fanno sogni con storie angoscianti o paurose. Inoltre i soggetti con emicrania con aura possono anche sognare sensazioni olfattive o sapori spiacevoli.

Gli autori hanno ricercato una spiegazione nel coinvolgimento di alcune strutture cerebrali che presiedono al dolore emicranico come l’amigdala e l’ipotalamo, che regolano anche rispettivamente la paura e il sonno [ Neurol Sci 2014;S167]


Cefalea e sindrome visiva da computer

Se nel 1997 solamente il 18% degli americani utilizzava un computer, non solo al lavoro ma anche in casa, nel 2009 la stima aumentava al 68.7% e nel 2013 all’83.8%,.

Nel 2014 l’Associazione Americana di Optometria identificava la “sindrome visiva da computer” (Computer Vision Syndrome – CVS) causata non solo dall’uso prolungato del computer, ma anche dei display dei cellulari, dei tablets, degli smartphone e dei libri elettronici.

Questa sindrome attualmente non coinvolge solamente gli Stati Uniti, ma l’intero mondo. Infatti recenti studi condotti in India hanno dimostrato che il 79% degli studenti e l’8 0% degli ingegneri ne soffre; mentre in Brasile è stata riscontrata nel 55% degli operatori di un call center.

Ricercatori americani dell’Università del Kansas hanno condotto una revisione della letteratura per puntualizzarne i sintomi e la gestione [ Medsurg Nursing 2015; vol24/n2:89-93].

Da un punto di vista clinico si caratterizza per due tipi di problemi: quelli strettamente oculari che riguardano una serie di sintomi visivi quali secchezza e arrossamento delle congiuntive, affaticamento oculare e offuscamento della vista, problemi di rifrazione e accomodazione, dolore oculare e visione sdoppiata; quelli più generali quali mal di testa, dolori al collo e/o alle spalle.

Gli autori hanno elencato le seguenti raccomandazioni per prevenire la CVS: tenere lo schermo del computer ad una distanza di 50-60 centimetri; regolare l’angolazione dello schermo a 14°-20° ; controllare l’illuminazione dello schermo e della stanza eliminando l’abbagliamento, i riflessi e la polvere sullo schermo; utilizzare un rivestimento antiriflesso o non riflettente sullo schermo; dopo 20 minuti davanti al computer fare una breve pausa di almeno 20-30 secondi alzando gli occhi e guardando lontano; assumere una buona postura in un ambiente che sia altrettanto confortevole (umidificato, senza polveri, etc); utilizzare degli occhiali monolocali o lenti “occupazionali” (lenti a profondità di campo) ammiccare spesso per assicurare una buona umidificazione delle congiuntive; massaggiarsi gli occhi per permettere un aumento della circolazione e stimolazione lacrimale.


Il fumo nei soggetti anziani con emicrania e il rischio di ictus

Tra i numerosi fattori di rischio per malattia cerebrovascolare (ipertensione, obesità, ipercolesterolemia, diabete, et.) presenti nei soggetti emicranici di età avanzata il fumo sembra essere il più pericoloso rispetto agli altri.
Il forte legame tra ictus ed emicrania soprattutto in coloro che fumano è quanto dimostrato da un recente studio americano condotto dall’università di Miami.
Venivano seguiti per un periodo osservazionale di 11 anni 1.292 soggetti, di età media 69 anni, per vedere chi avrebbe manifestato una malattia cerbro-cardiovascolare; il 6% presentava emicrania con aura e il 20% senz’aura. Nel corso dello studio 294 soggetti decedevano per ictus o infarto.
I ricercatori evidenziavano un rischio di ictus tre volte superiore negli emicranci che fumavano rispetto ai non fumatori, dimostrando che l’associazione non è indipendente nei soggetti anziani, come invece dimostrato in studi precedenti condotti su giovani donne con emicrania con aura (Neurology 2015; Aug 25;85(8):715-21)


Una terapia per l’emicrania mestruale

Una recente revisione condotta da ricercatori dell’Università di Washington si è posta l’obiettivo di identificare quale fosse il trattamento più efficace nell’emicrania mestruale non solo per bloccare gli attacchi, ritenuti più invalidanti per l’intensità severa e  durata più lunga, ma anche per una miniprofilassi nel solo periodo perimestruale.
Sono stati considerati undici articoli, che valutavano farmaci sintomatici quali triptani, farmaci di combinazione, inibitori delle prostaglandine, ergotaminici, e venticinque articoli per la terapia di profilassi (triptani, contraccettivi orali, estrogeni, antinfiammatori non steroidei, fitoestrogeni, vitamine, minerali). Le maggiori evidenze ottenute confermavano l’utilizzo dei tripatni rispetto alle altre categorie di farmaci sia come trattamento sintomatico che per una profilassi a breve termine (Headache 2015; 55(8):1052).


Un’alterazione della funzione dell’endotelio come causa dell’emicrania con aura

Diversi sono gli studi che mettono in gioco un’alterazione della funzione dell’endotelio nell’emicrania, in particolare nella forma con aura. Inoltre è stato ripetutamente segnalato un rischio aumentato di ictus nelle giovani donne con emicrania con aura; a questo proposito, una recente ipotesi sostenuta da numerosi ricercatori, ritiene che la causa sia dovuta ad un’alterazione dell’endotelio, che riveste un ruolo chiave nel controllo del tono delle arterie e del flusso regionale sia cerebrale che in altri organi; infatti in condizioni fisiologiche l’endotelio contribuisce attivamente ai processi di angiogenesi, al bilancio della fluidità ematica, alla regolazione dell’infiammazione e dell’attivazione piastrinica.

Ricercatori danesi analizzando i risultati di 27 studi in merito al problema sono arrivati alla conclusione che nei soggetti con emicrania con aura nonostante la disfunzione endoteliale sistemica non rivesta un ruolo di particolare importanza, i biomarcatori endoteliali (per esempio Ossido Nitrico) sono aumentati, indicando così un possibile cambiamento della parete dell’endotelio, responsabile del dolore e del danno ischemico [Headache. 2014 Dec 24 – Epub ahead of print].

Questa disfunzione endoteliale potrebbe spiegare anche quelle alterazioni di segnale che si osservano a livello della sostanza bianca alla Risonanza Magnetica Cerebrale.


Il genere femminile influenza le caratteristiche della cefalea

È noto da tempo che l’emicrania è una malattia declinata al femminile per una maggiore prevalenza tre volte maggiore rispetto agli uomini.

ricercatori del dipartimento di Neurologia e Algologia dell’Università di Ankara hanno dimostrato che anche le caratteristiche cliniche degli attacchi si manifestano in modo diverso nei due sessi.

Infatti nelle donne rispetto agli uomini gli attacchi sono significativamente di più lunga durata e di maggiore intensità; sono più presenti  la nausea, il fastidio ai suoni (fonofobia) e alla luce (fotofobia). Questi cambiamenti significativi sono stati osservati dopo i trent’anni di età, determinando una severa disabilità pregiudicando qualsiasi attività; mentre negli uomini non è stata osservata nessuna variazione età-dipendente.

Gli autori consigliano che le donne con emicrania andrebbero informate su queste differenze di genere e sul loro impatto per migliorarne la gestione  [Cephalalgia 2014, Nov 25 -Epub ahead of print].


Come affrontare la cefalea da uso eccessivo di farmaci

La cefalea da  uso eccessivo di farmaci sintomatici (definita dagli anglosassoni MOH – Medication Overuse Headache) è presente nel 2% della popolazione e si intervalla ad una preesistente cefalea determinando un andamento cronico (cefalea presente per più di 15 giorni al mese) causa di severa disabilità.

La gestione della MOH risulta spesso complessa e non facile, dal momento che non si hanno linee guida definite per quanto riguarda un approccio che sia il più pratico ed efficace possibile.

Grazie ad un progetto finanziato dalla Comunità Europea (COMOESTAS), ricercatori italiani, dell’Università di Pavia basandosi sulle evidenze in letteratura e su una consolidata esperienza, hanno definito e testato un consensus protocol (protocollo di consenso) su un numero ampio di soggetti con MOH distribuiti in quattro paesi europei (Italia, Spagna, Danimarca, Germania) e due in America Latina (Cile, Argentina).

Dopo aver ben istruito il soggetto a  compilare il diario della cefalea, il consensus protocolprevedeva i seguenti passaggi:

  1. “monito” ed educazione a sospendere bruscamente il farmaco abusato sia in regime ambulatoriale che di ricovero;
  2. disintossicazione in regime ambulatoriale o di ricovero del farmaco abusato con successiva impostazione di una terapia di profilassi;
  3. terapia sintomatica da utilizzare non più di due giorni a settimana. Dopo sei mesi dalla disintossicazione i due terzi dei soggetti non abusava più e in quasi la metà dei soggetti la cefalea pre-esistente riprendeva nuovamente un andamento episodico.

Lo studio dimostrava come l’adozione del protocollo di consenso per la disintossicazione (sospensione brusca del farmaco abusato, impostazione di una terapia di profilassi) migliori la gestione della malattia e come questo sia risultato efficace in soggetti di differenti paesi al mondo ove vi sono sistemi sanitari differenti [Cephalalgia 2014, 20;34(9):645-655].


L’emicrania e la sua relazione con la dieta

Ricercatori americani della divisione di medicina preventiva del Brigham and Women’s Hospital di Boston hanno condotto un ampio studio di popolazione per indagare le abitudini alimentari dei soggetti con emicrania, confrontandole con coloro che non ne soffrono, con particolare riguardo al consumo di quei cibi, che comunemente sono implicati nello scatenamento di un attacco emicranico.

È stato evidenziato che i soggetti con emicrania con aura e coloro con emicrania senz’aura ad alta frequenza di attacchi,  avevano un consumo inferiore di cioccolato, prodotti caseari, cibi trattati (hot dog, salumi), gelato e vino (bianco e rosso) rispetto alla popolazione generale o in chi soffriva di cefalea non emicranica, considerandoli fattori trigger solo per queste due forme di emicrania [Cephalalgia. 2014 Nov 25. – Epub a head of print], Dai risultati si evince che la dieta è differente nei diversi tipi di emicrania e che il consumo di questi alimenti deve essere, se possibile, limitato o evitato in presenza di queste particolari sottotipi di emicrania.


Non sottovalutiamo lo zenzero

Nonostante i continui progressi per il trattamento dell’emicrania, la maggior parte dei soggetti preferisce curarsi con rimedi naturali tra i quali lo zenzero, una radice con proprietà antinfiammatorie e antinausea.
Un gruppo di ricercatori iraniani ha cercato così di valutarne l’efficacia in modo scientificamente valido, confrontandolo con il sumatriptan, capostipite della famiglia di sette triptani, principale classe di farmaci specifici nel bloccare un attacco emicranico. Venivano confrontati cento pazienti che all’insorgere della cefalea assumevano sumatriptan 50 mg, con altri cento pazienti che assumevano zenzero in capsule da 250 mg. Due ore dopo l’assunzione, veniva evidenziata una significativa diminuzione dell’intensità della cefalea, con un’efficacia dello zenzero statisticamente simile a quella del sumatriptan e con un buon profilo di tollerabilità per gli scarsi effetti indesiderati rispetto al sumatriptan (vertigini, sonnolenza, bruciori di stomaco).
Inoltre i pazienti manifestavano un alto grado di soddisfazione e la volontà a proseguire con questo tipo di trattamento [Phytother Res 2014;28:412-415].


L’importanza di una terapia sintomatica per gli attacchi emicranici

Uno dei più importanti requisiti di efficacia di una terapia per gli attacchi emicranici è la libertà del dolore, l’assenza di nausea, di fastidio alla luce e ai suoni entro due ore dall’assunzione del farmaco sintomatico; questa misura è stata però stabilita da un consenso tra specialisti in cefalee, non rispecchiando il reale desiderio del paziente.
Ricercatori olandesi si sono così posti il problema chiedendo a 300 soggetti emicranici di esprimere, attraverso un particolare metodo di indagine (metodo Delphi), quale fosse invece per loro la più importante misura di efficacia di un trattamento. Dallo studio emergeva che il 97% dei soggetti voleva che il farmaco agisse entro trenta minuti, che prevenisse l’eventuale peggioramento, che garantisse la ripresa delle attività di lavoro entro un’ora e infine che evitasse la recidiva durante lo stesso giorno [ PLOS ONE June 2014, vol 9, issue 6].
I risultati dello studio confermano con chiarezza che il desiderio di un soggetto emicranico non è solo che il farmaco agisca il più rapidamente possibile, ma anche che prevenga in breve tempo il peggioramento dell’attacco e che garantisca una veloce ripresa delle attività quotidiane; misure di efficacia che vanno tenute presenti sia da parte dello specialista, ma soprattutto dal paziente che si dovrà attenersi rigorosamente ai consigli e alle raccomandazioni del medico, in particolare che il farmaco sintomatico va assunto entro la prima ½ ora dall’inizio dell’attacco emicranico.


Quanto deve durare una terapia di profilassi per l’emicrania

Le domande che spesso ricorrono tra i soggetti con emicrania che necessitano di una terapia di profilassi sono: è continuativa o a cicli? se a cicli, quanto devono durare? ma soprattutto se è continuativa, per quanto tempo?
Un gruppo di ricercatori indiani ha cercato di rispondere attraverso uno studio che ha valutato, in 127 soggetti con emicrania (età media 32 anni), il tasso di ricomparsa degli attacchi durante la riduzione della terapia o dopo la sua sospensione in termini di intensità e frequenza degli stessi e di analgesici utilizzati.
Dopo 1 anno, 70 soggetti (63,3%) necessitavano ancora un trattamento di profilassi e solo in 40 soggetti è stato possibile sospenderlo. La remissione completa degli attacchi emicranici al termine della profilassi è stata raggiunta nel 43.6% dei casi dopo 6 mesi, nel 39,1% dei casi dopo 9 mesi, e nel 36,4% dei casi dopo 1 anno. Il miglioramento dopo 3 mesi di terapia era il più importante fattore predittivo di remissione a lungo termine. Gli autori concludevano che la maggior parte dei soggetti emicranici hanno bisogno di un trattamento di profilassi a lungo termine, sottolineando come i soggetti che rispondono dopo 3 mesi di trattamento sono quelli più propensi ad avere una remissione a lungo termine [ Neurol Res2013, 35(10):1009-14].
Inoltre, le Linee Guida di diversi paesi europei sostengono che i farmaci che si dimostrano efficaci dovrebbero essere continuati per “almeno” un periodo di 4-6 mesi, dal momento che i benefici clinici (risposta terapeutica) si vedono dopo 1-3 mesi dall’inizio della terapia stessa, e sospesi gradualmente; andrebbero iniziati a bassi dosi, aumentando lentamente la dose fino a ottenere gli effetti terapeutici in assenza di effetti indesiderati; le linee guida francesi indicano una durata di terapia anche superiore l’anno.


L’importanza del dolore al collo

Il dolore al collo e alle spalle è associato all’emicrania ma non alla cefalea di tipo tensivo, come erroneamente si è soliti pensare; questo quanto recentemente dimostrato da ricercatori del Dipartimento di Neurologia Pediatrica dell’Università di Monaco.

Lo studio, condotto su una popolazione di adolescenti, si è posto l’obiettivo di confermare o confutare se questa associazione è indipendente da altri fattori quali lo stress e lo stile di vita. I risultati dimostravano che il dolore al collo e alle spalle era presente nel 45% dei partecipanti (n1445) e si associava in modo significativo ai soggetti con emicrania (OR 2,39) e in modo trascurabile a coloro con cefalea di tipo tensivo (OR1,22). Gli autori concludevano che i soggetti emicranici possono essere suscettibili ad altri tipi di dolore, quale quello al collo e alle spalle, indipendentemente da altri fattori, che favorirebbero l’insorgenza di attacchi emicranici; questo legame si potrebbe correlare alla convergenza trigemino-cervicale del collo e delle afferenze sensitive meningee, strutture coinvolte nel dolore emicranico.

Questo fa si che i trattamenti utilizzati per alleviare il dolore al collo potrebbero essere utilizzati anche nella prevenzione per l’emicrania [ Blascherek A et al, Cephalalgia 2014,Feb19, in pubblicazione].


Gli odori e l’emicrania

Gli emicranici non vanno molto d’accordo con i profumi, gli odori pungenti o acri; infatti tra le caratteristiche specifiche di un attacco emicranico oltre al fastidio alla luce e ai suoni, la presenza di osmofobia, repulsione agli odori, riveste un ruolo importante nella diagnosi, soprattutto nei bambini e adolescenti, in cui l’emicrania è meno definita rispetto a quella dell’adulto.

Studiosi brasiliani si sono posti l’obiettivo di precisare meglio quali fossero gli odori in relazione con il mal di testa. Hanno così dimostrato che nei soggetti con emicrania e non in coloro che soffrono di cefalea di tipo tensivo, i profumi intensi (75,5% ), le vernici (42,1%), la benzina (28,6%) e la candeggina (27,1%), dopo circa 25 minuti dalla loro esposizione, sono capaci di scatenare un attacco emicranico (70% dei soggetti). Inoltre, è emersa una correlazione statisticamente significativa tra l’emicrania e gli odori dei detergenti per la pulizia, per quelli da cucina, per i prodotti da bellezza e i cattivi odori in generale. [ Silva-Néto R et al. Cephalalgia. 2014 Jan;34(1):14-21].

Nella diagnosi di un’emicrania le sostanze odorose, piacevoli e non o in associazione, devono essere sempre tenute presenti come fattori scatenanti un attacco in pochi minuti.


L’effetto neve, un disturbo distinto dall’aura emicranica

Alcune persone vedono il mondo tutto a puntini luminosi, come un “televisore mal sintonizzato analogico”, come se le immagini, gli oggetti fossero sgranati; di questa visione disturbata chiamata “effetto neve” non se ne conosce la causa e sono state date diverse interpretazioni includendo un’aura emicranica persistente, un disturbo psicogeno, fenomeni post-allucinogeni. Ricercatori del dipartimento neurologico dell’università di S. Francisco hanno analizzato 275 soggetti con questo fenomeno per capire a quale tipo appartenesse. La cefalea era il sintomo di esordio più frequente del disturbo visivo o del suo peggioramento (36%); mentre la presenza di emicrania con aura e il consumo di sostanze illecite erano rari. Nonostante l’emicrania senz’aura (59%), l’emicrania con aura (27%) ansia e depressione fossero le comorbilità piu comuni, i risultati hanno portato alla conclusione che l’effetto neve è un disturbo visivo a se stante, unico, clinicamente distinto dall’emicrania con aura, ancora oggi ignorato e mal interpretato [ Brain 2014 mar 18 (in pubblicazione)].
Il dato rassicurante che non ha conseguenze dannose e si risolve spontaneamente.


L’emicrania in musica

Richard Wagner, musicista tedesco, soffriva di “terribili” e frequenti attacchi di cefalea che definiva “la piaga principale della mia vita”, descritti nelle sue memorie, nelle lettere ai suoi famigliari e amici e nei diari della moglie Cosima; cercò di comunicarli al mondo anche attraverso la sua musica in particolare nell’opera di Sigfrido che si apre con una musica dal ritmo incalzante e pulsante e in cui un protagonista (Mime) apre il primo atto con le parole “ tormento forzato! fatica senza meta!”.

Un gruppo di ricercatori tedeschi del centro cefalee e del dolore di Kiel (Università di Lubecca) analizzando in dettaglio i suoi scritti e la sua musica ha cercato di diagnosticare di quale forma di emicrania soffrisse utilizzando la recente classificazione internazionale delle cefalee (ICHD-3 beta). Dal momento che il musicista usa parole come una “scintillante, tremolante, linea melodica con un motivo a zig zag” per descrivere i suoi attacchi di mal di testa e un personaggio principale dell’opera canta (atto 1, scena 3) di “ luci scintillanti” e di un “ fruscio e ronzio impetuoso” (Luce maledetta! Che infiamma là l’aria! Che guizza ed oscilla,che trema e sfavilla, che fluttua e freme e intorno vacilla? Là brilla, scintilla, in vampa di sole!), accompagnato da una musica martellante, che si fa sempre più forte e intensa, come una pulsazione dolorosa, i ricercatori sostengono che sia le parole, sia la musica, presentano le caratteristiche cliniche di un attacco di emicrania con e senz’aura, pulsante, di severa intensità preceduto da un’aura visiva tipica [ Cephalagia 2014, Mar 28, in pubblicazione].

Inoltre spiegano come “ il dolore sia stato al centro della sua musica utilizzandolo in modo creativo, influenzando le sue opere” e personalmente aggiungo senza subirlo.